Federico Guiglia
Né la riforma costituzionale né quella elettorale, firmata solo ieri dal presidente Ciampi, sono ancora a rodaggio. Ma il centrosinistra, anticipando persino la Gazzetta ufficiale, da tempo pubblicamente annuncia che le cambierà entrambe. Di più: che cambierà addirittura il criterio con cui si cambiano le riforme. Per esempio rendendo obbligatoria la maggioranza dei due terzi dei consensi parlamentari per qualunque modifica costituzionale. Oggi, si ricorderà, è sufficiente la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda delle due votazioni richieste. Con la conseguente e finale possibilità di un referendum confermativo tra i cittadini; referendum che invece non può aver luogo se il testo, anziché approvato a maggioranza assoluta, lo fosse proprio coi due terzi dei consensi del Parlamento.
LUnione, dunque, punta a trasformare l'attuale «possibilità» dei due terzi in un «obbligo» costituzionale, un domani. In modo da impedire - dice - riforme «di parte», cioè fatte a colpi di maggioranza. Ma leventuale novità a cui tanto tiene soprattutto la componente di sinistra - da Piero Fassino a Giuliano Amato -, avrebbe una conseguenza paradossale, se fosse introdotta: non si potrebbe più procedere al referendum confermativo. In pratica, linvocato grande accordo fra i due schieramenti come condizione imprescindibile per modificare la Costituzione, farebbe saltare la garanzia del ricorso al popolo sovrano, al quale viene oggi demandata lultima parola su qualunque revisione della Carta. Tantè che è esattamente grazie a questa opportunità che andremo a votare, dopo le politiche, per dire sì oppure no alla devoluzione approvata dalle Camere.
Né si può pensare che il centrosinistra intenda mantenere lopzione del referendum anche dopo che il Parlamento avrà votato a stragrande maggioranza di ben due terzi, e in ciascuno dei due rami, le proposte di modifica costituzionale. Luna cosa ragionevolmente esclude l'altra: o i due terzi in Parlamento o il referendum tra i cittadini, tertium non datur per riformare la Costituzione. Anche perché se gli italiani bocciassero ciò che ha deciso una così vasta moltitudine di onorevoli, ci si domanderebbe a nome di chi essi legiferavano e legiferano. Il rischio di delegittimare listituzione nella quale i rappresentanti del popolo sono eletti col compito preciso di fare e rifare le leggi (anche costituzionali) sarebbe, con ogni evidenza, gravissimo. Dunque, la prospettiva adombrata porta a una conclusione, se realizzata: gli italiani non potranno più giudicare alcuna modifica della Costituzione.
Ma questidea di rivedere la procedura di revisione sespone anche a unaltra e quasi comica, comunque insormontabile contraddizione: per rendere obbligatorio ciò che oggi è facoltativo, lUnione avrà bisogno del consenso determinante del centrodestra in Parlamento. Senza i due terzi dei componenti, non si può imporre il cambiamento dei due terzi «per sempre». Il centrosinistra sarebbe altrimenti costretto a votare liniziativa coi soli suoi parlamentari, cioè a maggioranza assoluta, se mai lavrà. Ma in tal caso questa novità potrebbe essere cancellata subito dopo dal referendum dei cittadini a cui fatalmente ricorrerebbe il centrodestra dissenziente.
Tutto ciò dovrebbe bastare per definire pura accademia l'annuncio del centrosinistra di voler in futuro evitare riforme costituzionali «di parte», secondo una prassi peraltro inaugurata proprio dal centrosinistra con il primo e radicale cambiamento della Costituzione, la scorsa legislatura. Se domani regnasse la novità, quel cambiamento resterebbe immutabile, o condizionato alle sole modifiche «concordate» con lUnione. Si può osservare che questa prospettiva di «ampia intesa» finirebbe, quindi, per salvare la riforma compiuta dal centrosinistra, mettendola al riparo da future ed eventuali revisioni propugnate dal solo centrodestra.
E resta unultima incognita.
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