"La sinistra francese è ferma all’Ottocento"

Parla Max Gallo, l'ex portavoce del presidente socialista Mitterand: "Sulla questione dell'identità nazionale, molto sentita dai cittadini, la gauche sa solo inalberarsi e denunciare derive reazionarie". A proposito della Royal: "Non basta sventolare bandierine, bisogna approfondire le questioni e Ségolène non lo fa. Può ancora vincere, ma non per la capacità d'interpretare la società"

"La sinistra francese è ferma all’Ottocento"

Parigi - Non si azzarda a far pronostici sul nome del prossimo presidente, ma al termine della campagna elettorale per il primo turno, Max Gallo ha maturato una certezza: «La sinistra si è dimostrata ancora una volta inadeguata nell’interpretare i problemi della Francia». E la sua è un’opinione che conta. Ex portavoce di Mitterrand, apprezzato storico, oggi è una delle voci più libere e controcorrente del Paese, come dimostra in questa intervista al Giornale.
Max Gallo, perché è così severo con la “gauche”?
«Perché mi sembra incapace di evolvere e continua a giudicare il mondo odierno applicando ideologie che risalgono alla fine del XIX secolo. Per capire un mondo complesso come quello attuale ci vuole pragmatismo: bisogna prendere atto oggettivamente della realtà e poi elaborare le risposte. Questo però non accade».
Si riferisce alla questione dell’identità nazionale?
«Certo. Non appena viene sollevata, la “gauche” s’inalbera denunciando una deriva a destra e reazionaria della politica. Ma si sbaglia, perché la questione dell’identità - che è strettamente correlata a un altro argomento tabù, quello dell’immigrazione - è cruciale ed è davvero sentita dalla popolazione. Parlarne non è un reato, è un dovere. Uno dei miei ultimi saggi, “Fier d'être français”, ha suscitato reazioni enormi e inaspettate. Non a caso tutti i candidati hanno affrontato l’argomento».
A dir la verità anche Ségolène Royal…
«Sì, ma è stata ambigua. Non basta sventolare bandierine, non ha esaminato la questione in profondità».
Dunque perderà?
«Non è detto, il risultato è incerto. Ma se anche dovesse diventare presidente non sarebbe per la sua capacità di interpretare la società».
Sarkozy viene descritto come una persona instabile e pericolosa. Bisogna temerlo?
«No. Le accuse sulla sua personalità sono caricaturali. È vero però che il ballottaggio rischia di trasformarsi in un referendum sulla sua persona. In questo caso, considerata la virulenza degli attacchi contro di lui, Bayrou o la Royal potrebbero vincere».
Ma chi è davvero Sarkozy?
«È un uomo di centrodestra, un repubblicano d’autorità (il che non significa autoritario) nella tradizione di Clemenceau e di Mandel. Tra i candidati è il più estraneo al sistema e agli ambienti del politicamente corretto».
Vuol dire che le élite del Paese gli preferiscono la Royal?
«Senza dubbio. Ségolène è socialista, ma esce dall’Ena, dunque dal mondo delle Alte scuole, che non considera Sarkozy uno dei suoi. Lui è un avvocato, di origini straniere e con una madre ebrea. È davvero un uomo di rottura nei confronti dell’establishment che da decenni guida la Francia».
E come giudica il suo progetto politico?
«Ho delle riserve sul ministero dell’Identità, ma Sarkozy ha un merito: ha saputo elaborare un programma partendo dai bisogni reali della società. Le sue idee possono piacere o no, ma certo non le nasconde. La sinistra invece continua a ragionare applicando vecchie formule. Non a caso ha elaborato poche proposte concrete».
Sarkozy insiste sul lavoro e sulla crescita economica…
«E ha ragione. Senza sviluppo non si possono trovare le risorse per risolvere i problemi della società. Poi bisognerà affrontare la concorrenza di Cina e India, che può essere contrastata solo proteggendo di più l’economia dell’Unione europea».
Il terzo incomodo è Bayrou.

Come lo giudica?
«È un uomo di qualità ed è stato abile a sfruttare il disorientamento dei socialisti. Un centro democratico capace di ottenere tra il 12 e il 17 per cento è sempre esistito. Bayrou ha saputo ridargli voce».

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