La sinistra non ci sente: resta innamorata delle imposte

RomaPiù che odio-amore, quella tra la sinistra e le tasse è una relazione extraconiugale con una ex fidanzata. Una passione che gli eredi del Pci stentano a tenere nascosta. È vero che da circa una ventina di anni è stata ufficialmente dichiarata la fine della lotta di classe per vie tributarie, ma è altrettanto chiaro che gli animal spirit progressisti sul fisco non si sono mai estinti. L’idea di fondo, dura a morire, è la stessa della sinistra anni Settanta: le tasse pagate non servono a fare funzionare i servizi per i cittadini, ma a redistribuire la ricchezza.
Un’impostazione che emerge, per esempio, dal commento del segretario pd Pierluigi Bersani all’annuncio di una riforma che ridurrà le aliquote a due. «La proposta è sbagliata, porta troppi soldi verso i ricchi». Tradotto, i soldi lasciati nelle tasche dei contribuenti non producono niente, se invece vengono trasferiti nelle casse dello Stato, sì. Con buona pace delle riabilitazioni postume del governo Margaret Thatcher e di Ronald Reagan.
Che l’ossessione delle tasse sia un patrimonio quasi esclusivo di Botteghe oscure lo si capisce dalla disponibilità a discutere della semplificazione che in questi giorni è arrivata da altri ambienti. L’Api di Francesco Rutelli, per esempio, ieri ha lasciato aperto uno spiraglio ad una collaborazione con la maggioranza. «Se Tremonti, dopo quindici anni di annunci, finalmente porterà in Parlamento una riforma fiscale ispirata ai principi di semplificazione e di riduzione del peso delle tasse sui redditi da lavoro e di impresa, la esamineremo nel merito con la massima attenzione e con spirito di collaborazione», ha assicurato Linda Lanzillotta. Persino Antonio Di Pietro ha dato la sua disponibilità a parlarne. Più che pensiero unico, è il riconoscimento di una verità banale: meno tasse e imposte è meglio per tutti, a prescindere dal fatto che gravino sui redditi dei lavoratori o sulle imprese. Per il Pd, compreso quello dell’era Bersani, no. Mentre in Germania il mondo politico si divide sul quanto si debba ridurre la pressione, in Italia, la sinistra rimane quella del secondo governo Prodi. Quando persino un moderato come Tommaso Padoa-Schioppa si trovò a dire «Le tasse sono una cosa bellissima». Tesi difficile da sostenere in un Paese con un debito pubblico monstre, una pressione fiscale da socialdemocrazie scandinave e servizi da terzo mondo.
L’ossessione della sinistra per il prelievo sui contribuenti è stata letta in passato pescando nel subconscio dei politici di quella parte. Una penitenza che si vuole comminare a chi commette il peccato mortale di creare ricchezza, la giusta punizione per chi si permette di sostituirsi allo Stato come datore di lavoro. Giulio Tremonti, diede ad esempio una interpretazione psicanalitica alla politica fiscale del centrosinistra e, più nello specifico, al sistema «Ragno» che il governo di Prodi mise in piedi per combattere l’evasione e si basava sul concetto di «famiglia fiscale». «Il Ragno è un segno psicologico negativo, partendo da Freud a Jung. Un qualcosa in cui uno si sente invischiato». E poi, mentre tutto il mondo cominciava a introdurre o studiare il quoziente famigliare, in Italia la famiglia diventava «una riserva di caccia per lo spionaggio» fiscale. Sede ideale per introdurre il «grande fratello» dei tributi.
Di sicuro l’idea delle tasse, in passato, ha fatto perdere alla sinistra elezioni e consensi. Come quando Vincenzo Visco, responsabile del Fisco nel Prodi II, spiegò che la cultura dei veneti era «consustanziale» all’antistato. Sottinteso, il Veneto è una regione abitata da evasori incalliti. Peccato che il Nord-Est contribuisca alla ricchezza più di ogni altra area del Paese e che l’evasione sia più alta nelle regioni del Sud. A volte la sinistra riesce a mettere da parte un cavallo di battaglia come la lotta all’evasione e il peccato mortale da espiare diventa quello di essere contribuenti ricchi. E quindi di dichiarare tutta la ricchezza prodotta.
Caso di scuola la pubblicazione nel sito del ministero delle Finanze, sempre era Visco, dei redditi di tutti i cittadini, divisi per Comuni.

Una manna per i giornali, per i curiosi e anche - si disse - per i malviventi che prima del colpo volevano farsi un’idea sulla ricchezza della vittima designata. Una gogna mediatica della quale si assunse la responsabilità l’Agenzia delle entrate. Ma che fu ritirata in tutta fretta solo dopo le proteste di tutto il Paese, sinistra esclusa.

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