La sinistra in piazza per la Palestina «Vogliamo 10, 100, 1000 Nassirya»

I manifestanti hanno incendiato le bandiere americane e di Israele

Emanuela Fontana

da Roma

«Ma quale pacifismo-ma quale non violenza. Ora-e-sempre-re-si-stenza». C’è solo una bandiera della pace a sventolare nel sole di Roma in via Cavour e dintorni. Non è il giorno della pace, ma della resistenza. Quella palestinese e quella irachena. E così accade che in una manifestazione a favore della Palestina dove sono presenti volti istituzionali - il segretario del Pdci Oliviero Diliberto, l’europarlamentare Marco Rizzo - tornino ad echeggiare per la capitale quei cori che avevano fatto rabbrividire mogli e figli dei caduti dell’attentato del 12 novembre del 2003. «L’Italia-dall’Irak-deve andare via-Uno, cento, mille, Na-ssi-rya», hanno gridato un gruppetto di ragazzi con la kefia, alcuni con il volto coperto, guidati da una donna. Il coro viene ripetuto proprio sotto l’Altare della Patria, dove due anni e mezzo fa un milione di cittadini avevano sfilato per rendere omaggio alle 19 vittime. Alcuni dei manifestanti portano lo striscione: «Coordinamento di lotta per la Palestina». Gli stessi che un’oretta prima, all’inizio del corteo, in piazza della Repubblica, avevano cantato un altro coro d’Intifada: «La pace in Medio Oriente-si fa-co-sì. Armi armi armi ai fe-da-yin».
Tutto questo succede in una manifestazione che ha spaccato i comunisti. I temi di eccessiva accondiscendenza verso resistenza e lotta armata avevano imposto a Fausto Bertinotti di decidere di non partecipare in via ufficiale con il Prc, con conseguenti critiche da parte dei Comunisti Italiani, che invocano invece un’«equa vicinanza» a Palestina e Israele anche dopo la vittoria di Hamas. Ieri in strada c’erano tante bandiere dei Comunisti Italiani e dei sindacati Cobas e Rdb. A livello personale c’erano anche Marco Bulgarelli e Paolo Cento dei Verdi. Rifondazione non era invisibile, anzi: «Stiamo occupando il 40 per cento di via Cavour», diceva Ciro, del circolo Gramsci del Prc di Salerno. È forse un’esagerazione, ma a parte Marco Ferrando, il deputato che non verrà ricandidato per le sue posizioni giudicate troppo estreme e che ieri era in piazza, c’erano alcuni circoli romani e del Nord Italia.
Perché Rifondazione si è divisa su questa manifestazione? «Perché qualcuno ha una sensibilità diversa», risponde Ciro. Qualche manifestante si arrampica per attaccare via Arafat sulla targa di piazza Esquilino e più giù, in via Cavour. Intitolare una strada di Roma all’ex leader dell’Anp sarà una delle prime richieste del comitato promotore al sindaco Walter Veltroni.
Una vera e propria ovazione si solleva quando qualcuno annuncia le dimissioni «del ministro razzista Calderoli». Ma nonostante la musica rap e qualche bambino che scorrazza sotto un enorme bandiera palestinese i contorni più estremi della manifestazione vengono in primo piano con il rogo alle bandiere americana e israeliana con fumogeni rossi al grido: «Intifada ora e sempre». Gli organizzatori sembrano non rendersi conto di quali boomerang possano partire dalle retrovie del corteo. E lanciano la loro sfida alla sinistra: «Il governo avrà 150 giorni per rompere la continuità con la politica filoisraeliana di questo governo». E se non lo farà «torneremo in piazza». Con gli slogan sulla strage di Nassirya e l’inneggio alla lotta armata.
«Per ora siamo sicuramente in pochi - commentava camminando sotto la bandiera del Pdci Diliberto - ma la responsabilità è di coloro che hanno disertato la manifestazione».
Dopo la conclusione del corteo, di fronte all’evidenza delle immagini trasmesse dalla tv, la segreteria dei Comunisti italiani ha emanato un comunicato: «Chi volesse ingigantire alcuni gesti e slogan inaccettabili e imbecilli compie solo una strumentalizzazione a fronte di migliaia di persone che hanno sfilato compostamente». Un migliaio per le forze dell’ordine, 10mila per alcuni organizzatori e 20mila per i più entusiasti.
Ma le prese di distanza non sono sufficienti. Un coro può essere una bomba, soprattutto se si tocca un passato recente di 19 italiani morti per un’esplosione con 400 chili di tritolo: «Sono stanco e indignato, non ce la faccio più con queste continue offese - dice Marco Intravaia, figlio del brigadiere dei carabinieri Domenico, morto a Nassirya -. Mi sento abbandonato. Prima era solo Ferrando, oggi era presente una buona fetta del Prc, del Pdci e dei Verdi».

«Bruciare le bandiere degli Stati Uniti e d’Israele invocando la morte dei soldati italiani in missione di pace significa sconfessare la missione mediorientale di Rutelli», sostiene Antonio Tajani, presidente degli europarlamentari di Forza Italia.
«La sinistra radicale si conferma la migliore arma propagandistica a favore di Berlusconi», è il commento del segretario dei radicali italiani Daniele Capezzone.

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