«La sinistra rompa con Di Pietro se vuol sopravvivere»

Ugo Finetti

Stefano Carluccio
Dopo la scomparsa del Psi, la maggior parte dei suoi elettori ha scelto di votare per Forza italia in antitesi ai partiti post comunisti che sulla liquidazione del partito socialista hanno investito le loro ambizioni politiche. Oggi Forza Italia è nel nuovo partito, il Popolo della Libertà, che aderirà dopo le elezioni europee al gruppo del Partito popolare europeo. Il riformismo socialista è destinato a scomparire per sempre?
«Il riformismo sta nelle origini di Forza Italia e quindi è una sua cultura fondante: il tema dell'Occidente, i valori della Nazione, le forme della democrazia sono temi introdotti in Italia da Bettino Craxi e vennero passati interamente al patrimonio politico di Forza Italia e di lì, quindi, con Forza Italia sono entrati nel Popolo della Libertà. Non è un caso che i ministri socialisti, Tremonti, Frattini, Brunetta e Sacconi abbiano tanta rilevanza nel governo Berlusconi. E ne hanno, proprio per quelle politiche economico-sociali che possiamo chiamare riformiste. Tremonti in più fa anche opera di teoria politica introducendo il controllo dello Stato e del Diritto internazionale nell'economia di mercato. Quindi io penso che il Riformismo sia una componente, diciamo così, del Popolo della Libertà. Vedo che anche la componente di Alleanza nazionale aderisce con Fini alle posizioni di Tremonti e quindi a una linea socialista. Vi vede perfino un riferimento alla propria tradizione politica ma nella fedeltà all'economia sociale di mercato che lo legittima come membro del Partito popolare europeo. Ma ciò non autorizza una contrapposizione al liberalismo attribuito a Berlusconi come ideologia di un mercato senza freni perché il mercato rimane non solo un fatto, ma anche un valore. E la politica del governo tende a una soluzione internazionale del problema con nuove regole, in modo da impedire le deviazioni che hanno condotto alla grande crisi. Ma il Popolo della Libertà è ben conscio che nessuna via alternativa è al mercato globale e all'autonomia del sistema finanziario. Protezionismo e statalismo sono fuori dalla politica dei governi nel mondo e l'economia sociale di mercato ha un futuro solido nella soluzione della grande crisi. In conclusione il Riformismo è una cultura fondante del Popolo della Libertà come lo è stato per Forza Italia».
Dopo la «rivoluzione» della Seconda repubblica la sinistra è andata in mille pezzi e la somma di quello che fu il Partito comunistae la sinistra democristiana è ciò che si vede nella situazione in cui versa il Partito democratico. Che ne pensi?
«Debbo dire che è un dramma, perché la distruzione del Psi a opera del Pci si è riversata su tutta la sinistra italiana e l'ha resa senza forma. Non credevo che la sinistra italiana giungesse a essere egemonizzata da Di Pietro e quindi dal giustizialismo. Ma d'altra parte si tratta di un legame con chi fece fuori il Psi, perché fu Di Pietro a fare fuori il Psi. E oggi Di Pietro incatena il Pci, i post comunisti e tutta quella sinistra che da Di Pietro trasse allora beneficio. Quindi la rottura con Di Pietro oggi sarebbe la rottura con la liquidazione di Bettino Craxi. C'è un'armonia nella Storia che fa impressione. Il problema oggi per la sinistra è di rompere con Di Pietro e quindi con le basi del giustizialismo che portarono alla condanna di Craxi».
Si spaccherà su questo il Partito democratico?
«Non lo so. So però che se non lo fanno si sbricioleranno in pezzetti e rimarranno praticamente irrilevanti. Se devono continuare a delegittimare Berlusconi incalzati da Di Pietro, diventano un problemino per il centrodestra e distruggono la sinistra italiana».
Al termine del ciclo anomalo di questa «seconda repubblica» è ipotizzabile anche una sorta di «partenogenesi» di una sinistra riformista, paradossalmente, da una costola del centrodestra?
«Una partenogenesi del socialismo dal centrodestra? È una parola difficile, ma è vero che la tradizione craxiana del Riformismo vive in Forza Italia e quindi nel Popolo della Libertà. Nelle circostanza attuali, poi, la crisi del comunismo, prima e del capitalismo, poi, ha aperto la via al riformismo, a una politica, cioè, fondata sull'Occidente, sui valori della Nazione, sull'intervento dello Stato nell'economia, sull'equità sociale. Tutte queste cose sono della cultura socialista e oggi sono passate anche alla destra evidentemente. Sono passate persino agli ex fascisti. La tradizione socialista è oggi un retaggio comune del Popolo della Libertà e ha lì la sua sede. Però è anche vero che nel Partito democratico ci sarebbe la possibilità di sviluppare gli stessi concetti fondamentali del socialismo. Ma il fatto di avere liquidato il Partito socialista come un “partito di ladri” e rotto con il riformismo socialista li ha legati mani e piedi al giustizialismo e questo è un pericolo mortale».
Quindi se la sinistra italiana non rompe con Di Pietro diverrà politicamente irrilevante?
«Sì. Se invece rompesse avrebbe la possibilità di avere la tradizione italiana con sé, perché la tradizione italiana della sinistra è il socialismo riformista. E quindi se si ammette che quella era ed è la soluzione, significa ammettere che la vicenda comunista è stata assolutamente infeconda. Sarebbe un'autocritica per l'esistenza stessa del Partito comunista, un’autocritica su Livorno. Ma l'importante, in fondo, è che facciano autocritica su Craxi. Cioè che si smentisca che la democrazia italiana era fatta di ladri e che quella di Di Pietro sia stata “giustizia”. Quindi, infine, ammettere che la scelta di ferire a morte i partiti democratici è stata una scelta persino contraria a quella che è stata la scelta del Partito comunista dopo la Costituente. Il Partito comunista ha perseguito uno scopo di politica estera in Italia, cioè di mantenere Mosca in maggioranza nella sinistra italiana, ma lo ha fatto facendo infine credere di essere una forza nazionale riformista. Ma prima è riuscito a conquistare i sindacati e le cooperative, cioè la base materiale del riformismo, ed è lo ha fatto in nome dell'Unione sovietica e in nome del fascino italiano per la “rivoluzione”, già coltivato dal fascismo, che è stato un fatto rivoluzionario».
Le conseguenze?
«È stato così possibile che la classe operaia e la cooperazione sociale diventassero in Italia patrimonio del Partito comunista, il quale ha sottratto al socialismo riformista le sue stesse basi materiali del sindacato e della cooperazione, in nome, ripeto della rivoluzione sovietica. Ed è stata questa una violazione del senso stesso della cooperazione e del sindacato. Che infatti in Russia non esistevano.

Il socialismo democratico è stato una minoranza in Italia, una minoranza conculcata e oppressa, ma essa rimane come il sale della politica italiana, il fermento che la fa lievitare. Bettino Craxi è rimosso come nome, ma rimane come simbolo e quindi come realtà».

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