La sinistra scommette sulla Borsa per far saltare il Cav

RomaTentare l’assedio dall’esterno, perché dentro il perimetro della maggioranza «non si muove una foglia».
Dopo aver per mesi e mesi puntato sulla rottura interna della maggioranza, per mano prima di Fini, poi di Tremonti, di Scajola o Pisanu, alla fine di Maroni; l’opposizione cambia strategia e punta su cortocircuito tra mercati e impasse del governo per far saltare Berlusconi. «Ormai è chiaro che non ci sarà un pezzo di centrodestra che si stacca e fa cadere il governo - ragiona l’esponente finiana Flavia Perina - la vicenda degli emendamenti sul processo lungo infilati dentro la legge Lussana, firmata da un’esponente di primo piano del Carroccio, dimostra chiaramente che anche la Lega continuerà a far finta di niente». E finché l’esecutivo ha una maggioranza in Parlamento, anche il capo dello Stato non può che prenderne atto. Così domenica è partita la raffica di interviste (concordate) di Casini, Fini e D’Alema che chiedono al premier di farsi da parte e lanciano un governo tecnico o di transizione per guidare la drammatica fase economica. Ieri l’annuncio dell’incontro tra opposizioni e parti sociali per un nuovo «patto sociale», che punta a delegittimare Palazzo Chigi (e, nelle speranze degli ex Ds sotto botta giudiziaria e ormai convinti dell’ostilità dei «poteri forti» nei loro confronti, a rilegittimare il Pd bersaniano come interlocutore credibile). Obbligata a quel punto la contromossa del governo, col premier che andrà domani in Parlamento e poi vedrà sindacati e Confindustria. «Abbiamo costretto Berlusconi a metterci la faccia e a parlare in aula con Tremonti al suo fianco: vedremo cosa si inventerà», dice il capogruppo Fli Benedetto Della Vedova.
In realtà, anche dentro il variegato ventaglio dei partiti di opposizione le ipotesi di exit strategy dal berlusconismo divergono: se il leader Pd punta ad accelerare la crisi («Entro ottobre», si spiega) per andare rapidamente ad elezioni anticipate come in Spagna, Pier Ferdinando Casini immagina invece un governo post-Cavaliere che duri fino al 2013, durante il quale trattare le condizioni di un eventuale alleanza elettorale con il Pd. «Il suo obiettivo - spiega un dirigente vicino a Bersani, e che assicura che l’asse tra i due si sta concretizzando - è quello di andare al voto in concomitanza con la scadenza del Quirinale, e stringere un patto che tagli le “ali”, col Pd che scarica Di Pietro e lui che molla Fini, e che veda Bersani candidato premier e lui al Colle. Sempre che l’offerta non gli venga prima dal Pdl di Alfano...».
Ma per imbastire uno qualsiasi di questi scenari è indispensabile un presupposto: che Berlusconi sia costretto alle dimissioni. E che il Cavaliere non abbia alcuna intenzione di mollare è convinzione assai diffusa tra i suoi avversari. A meno che, nei prossimi mesi, la situazione diventi talmente drammatica da «far saltare il tappo», come sintetizza icasticamente un casiniano.

Avverte Francesco Boccia, economista lettiano del Pd: «Occorre una svolta rapida perché di qui a fine anno ormai è certo che capitali e investitori stranieri si daranno alla fuga: solo oggi sono stati bruciati altri 15 miliardi a Piazza Affari». E ricorda che tra settembre e dicembre «scadono decine di migliaia di miliardi di debito pubblico»: se la fuga dall’Italia continua, la pressione sul governo diventerà insostenibile.

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