da Roma
«Potremmo fare uno scambio: la Cdl si prende Francesco Rutelli e noi ci prendiamo Gianfranco Fini», era la battuta che circolava ieri nelle file dei referendari dellUnione. Il leader dello Sdi Enrico Boselli, fiero avversario del presidente della Margherita dentro lUlivo, la traduce così: «Fini si ispira al cattolicesimo liberale, Rutelli a quello integralista. Non si tratta solo della sua scelta di andare a votare ma anche del fatto che il presidente di Alleanza nazionale si ispira ad una concezione che rispetta il pluralismo e fa proprio il principio di tolleranza. Così Fini si iscrive alle correnti del cattolicesimo liberale che considerano fondamentale la laicità dello Stato».
E infatti, mentre il suo partito è in subbuglio e ministri e dirigenti di An lanciano anatemi contro la argomentata scelta anti-astensionista del vicepremier e ministro degli Esteri, dal centrosinistra arriva a Fini una valanga di riconoscimenti ed attestati di stima. «Una posizione corretta», plaude Piero Fassino, «il compito dello Stato non è quello di sposare né un credo religioso, né una convinzione filosofica, né un principio etico: il compito dello Stato è mettere a disposizione dei cittadini delle leggi che consentano a ciascuno di essere libero nelle proprie scelte di vita». Entusiasta il segretario dei Radicali Daniele Capezzone, che loda «il coraggio e la determinazione» di Fini, la «qualità ragionevole, tollerante e seria» dei suoi argomenti e parla di «un evento importante come la svolta di Fiuggi, che può essere l'atto di nascita di una possibile destra alla Aznar, liberale, aperta, moderna». Gianfranco Fini «ha dimostrato di essere un politico di spessore», dichiara il senatore Ds Lanfranco Turci, tesoriere del Comitato promotore dei referendum, secondo il quale il leader di An con questa scelta «conferma la propria statura politica».
Anche la prodianissima segreteria dei Repubblicani europei, Luciana Sbarbati, sottoscrive (sempre in chiave anti-rutelliana) lanalisi politica del vicepremier: «Sono daccordo sul fatto che il referendum stia diventando, spudoratamente, lo strumento per la prova d'orchestra di uno schieramento trasversale per pesare e identificare il possibile grande centro, non di certo la Dc, ma qualcosa che le vorrebbe assomigliare, magari come brutta copia». Per Gavino Angius «va riconosciuta al vicepresidente del Consiglio una corretta e ineccepibile posizione contraria all'astensione soprattutto quando di fatto sollecitata da alcune alte cariche istituzionali».
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