"La sinistra voterà le pensioni per le poltrone"

L’ex ministro Maroni: "Non ci sono più i comunisti di una volta. Fanno ridere, se si sentono traditi facciano cadere il governo". Il padre dell’attuale scalone previdenziale: "La riforma dell’esecutivo è peggiorativa, scarica tutti i costi dell’operazione sugli autonomi e sui precari". "La nostra norma prevedeva misure in favore delle donne che vogliono lasciare il lavoro prima"

"La sinistra voterà le pensioni per le poltrone"
Roma - «Non ci sono più i comunisti di una volta». Roberto Maroni da una parte è d’accordo con i partiti della sinistra radicale, perché dicono che l’accordo governo-sindacati sulle pensioni disegna un sistema previdenziale peggiore di quello creato dalla riforma che prende il suo nome. Dall’altra il capogruppo dei deputati della Lega Nord è sicuro che alla fine anche i più critici, cioè Rifondazione comunista e Comunisti italiani, diranno sì e voteranno la fiducia. Solo per una questione «di poltrone».

Marco Rizzo del Pdci vuole una mobilitazione perché l’intesa è «per certi versi anche peggiore della Maroni». Lo considera un riconoscimento o un’offesa?
«Io non posso che essere d’accordo sul fatto che era migliore la nostra riforma. Dava chiarezza, stabilità nei conti e soprattutto, attraverso l’elevazione dell’età pensionabile, garantiva le pensioni future. Poi c’erano norme a favore delle persone disabili, delle donne che avevano l’opting out, cioè la possibilità di andare in pensione non a 60, ma a 57 anni con 35 di contributi, a fronte di una prestazione minore perché calcolata totalmente con il contributivo. Una misura pensata per quelle donne che preferiscono o sono obbligate a dedicare più tempo alla famiglia e che noi non sappiamo se è stata confermata. Senza contare che in prospettiva questa riforma della sinistra porta l’età delle pensione a 62 anni mentre noi ci siamo fermati a 61 e le finestre per le pensioni di vecchiaia. Mantenere un 65enne al lavoro; questa sì che è una vera ingiustizia».

Però nell’intesa ci sono gli scalini, quindi la gradualità, mentre la riforma del centrodestra faceva aumentare l’età pensionabile di tre anni in una notte...
«C’è uno scalino a 58 nel 2008. Poi dal luglio 2009 un altro passaggio a 59 anni. Questo vuole dire che per chi è nato dopo il luglio 1951 lo sconto è di un solo anno. La differenza tra una legge “iniqua”, la nostra, e una “giusta”, la loro, è tutta qui. Questa è un’altra di quelle bufale che vanno smascherate. Come il fatto che questo governo fa concertazione. Incontrano solo Cgil, Cisl e Uil. Confindustria la convocano il giorno dopo e tutti gli altri, piccole aziende, artigiani e commercianti, nemmeno li vedono. A noi non lo avrebbero permesso».

Una riforma peggiorativa che costa dieci miliardi?
«Questo è un altro elemento che la rende iniqua. Carica il costo di tutta l’operazione sugli autonomi e in particolare sui Cocopro. E questo non potrà che significare una riduzione di questo tipo di contratti e un aumento dei rapporti di lavoro irregolari».

Nella trattativa con la sinistra radicale il governo mette la lotta alla precarietà. Al tavolo di palazzo Chigi si parlerà di Legge Biagi...
«Non si possono mescolare i due sistemi. Le politiche attive del lavoro servono per far crescere l’occupazione e quelle previdenziali a dare una giusta retribuzione a chi finisce di lavorare. E poi la lotta alla precarietà l’abbiamo cominciata noi proprio con la Legge Biagi. Siamo stati noi ad aver eliminato i Cococo che erano diventati una sacca di precarietà, cresciuta proprio con i governi della sinistra. L’idea che la Biagi abbia fatto crescere i precari è una delle bufale che la sinistra ha lanciato in campagna elettorale, un’idiozia che non regge alla prova dei numeri. Se ora vogliono veramente cambiare la legge, ridurranno le opportunità per i giovani, le donne e i disoccupati di lunga durata. Mi auguro che Confindustria si faccia sentire e non subordini gli interessi generali a qualche piccolo beneficio per qualche grande gruppo industriale».

Lei pensa che la riforma delle pensioni riuscirà a passare in Parlamento, visto che i numeri almeno in teoria non ci sono?
«Ho visto delle reazioni molto timide. Diliberto ha parlato di “battaglia emendativa”. Fanno ridere. Un partito che si sente tradito dal governo perché vuole onestamente affermare i suoi valori fa quello che facemmo noi nel ’94, fa cadere il governo».

Gli sta chiedendo di uscire dal governo?
«Se non lo fanno

significa che queste sono le solite panzane e che tutto viene sacrificato al valore della poltrona. È chiaro che il programma dell’Unione non è rispettato perché è vero che prevede espressamente di eliminare lo scalone».

Se fosse così i lavoratori voteranno no al referendum dei sindacati...
«Io non credo che si terrà nessun referendum. Perché se lo facessero i lavoratori boccerebbero l’intesa. Tra l’altro la sinistra ha vinto le elezioni per 24 mila voti. E io sono sicuro che ci sono almeno 50 mila persone con relative famiglie che erano arrabbiatissimi con noi e che li hanno votati solo per l’abolizione dello scalone. Questa è una questione seria, politica, ma anche istituzionale, da porre nelle sedi opportune».
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