La sinistra vuole fare la rivoluzione senza riforme

(...) dagli anni Settanta in poi fu accompagnato dalla pervasiva occupazione che la Sinistra ebbe ad effettuare di tutto il possibile - «di tutto di più», come suggerì poi il motto dell'orgoglio radiotelevisivo statale - nell'ambito dell'apparato della pubblica istruzione. Tale slogan era divenuto dunque di tutt'altra intonazione. L'attuale ministro Maria Stella Gelmini ha inteso riprendere l'attività riformatrice ai diversi livelli e subito si è scatenato il finimondo (a dimostrazione che il comparto scolastico statale divenne decenni fa il refugium peccatorum della maggior parte di un personale contrassegnato da un preciso orientamento ideologico). Ma ahimè i rivoluzionari (e gli pseudorivoluzionari) non amano per niente le riforme. È il destino di larga parte della Sinistra italiana che continua a sognare la renovatio (o la revolutio?) mundi (ovviamente guidata da essa medesima). E la situazione è davvero paradossale se personaggi del calibro di Franco Bassanini e di Luigi Berlinguer oggi si pronunciano a favore delle riforme. I timidi tentativi fatti da quest'ultimo (per certi tratti dallo scrivente non condivisibili) furono, a suo tempo, bloccati dalle resistenze interne ai governi di centrosinistra.
La buriana festaiola e contestatrice che si va esibendo nelle strade cittadine replica avvenimenti lontani nel tempo. Purtroppo per essa i tempi sono cambiati: ma non si tratta soltanto dell'ingiuria derivante dallo scorrere dei decenni. C'è ben altro: manca il vitalismo che fu caratteristico del '68 quell'atteggiamento giovanile che parlava davvero - ancorché confusamente - di avvenire e di forme di liberazione civile che poco avevano a che fare con le manfrine filosovietiche e che scomparve nel giro di due anni, travolto (dall'incipiente sviluppo del terrorismo) e dalle manovre di una Sinistra che resta pur sempre l'alunna svogliata della democrazia. Essa ricorre infatti alla piazza ogniqualvolta si tratti di impedire ad un governo eletto legittimamente di fare il suo dovere. Tra l'altro la manipolazione, pressoché spudorata di allievi in età da scuola elementare, ricorda il medesimo atteggiamento tenuto sovente dai Palestinesi.
D'altra parte la scuola (e qui risulta particolarmente meritorio l'impegno dell'avv. Maria Stella Gelmini) è davvero in condizioni critiche se persino sindacati più accorti e riflessivi, come Cisl e Uil, si sono venuti accodando alle iniziative della Cgil (peraltro non le sole). Ma si sa: dovevano farsi perdonare il fatto di aver abbandonato il sindacato di Sinistra sulla questione Alitalia, costringendolo ad un poco decoroso ripensamento rispetto alle iniziali, battagliere posizioni. La scuola tutta va riformata radicalmente a partire dalle elementari, per proseguire con la scuola media primaria e con quella secondaria. Poi deve essere investita la stessa struttura universitaria.
Fermo restando il problema del rapporto con il mondo del lavoro (scuole professionali, territorialmente di competenza regionale), il nocciolo della questione consiste (sulla base del riordinamento di impostazione morattiana) nella riconfigurazione dei curricula specifici, debitamente aggiornati, secondo criteri razionali (tenendo presente, indirizzo per indirizzo, dell'equilibrio fra materie umanistiche e scientifiche, senza intaccare quello che taluni tecnici in quota agli uffici dell'ex-ministro Luigi Berlinguer chiamavano, forse con involontaria ironia, «deposito culturale»). Nel disegno complessivo rientra come tratto fondamentale (e quindi non trascurabile) quello del personale e della sua rivalutazione in sede (anche) di trattamento economico. Va in questo senso la razionalizzazione proposta dal ministro Gelmini. E quindi il conflitto sulla scuola si profila come una delle tante battaglie che questo governo dovrà sostenere per non farsi ricondurre a quelle forme di galleggiamento così caratteristiche di altri esecutivi.


Qualcuno (doveva) e deve finalmente mettere mano al comparto della scuola, riordinandolo come si conviene (accogliendo le proposte sensate, quelle cioè che vanno verso una direzione coerente con le linee fondamentali del disegno del governo), tirando diritto, senza preoccuparsi degli spettacoli di piazza e delle occupazioni dei soliti privilegiati che guardano al passato (e che prediligono mascherarsi con le vesti di «coloni dell'avvenire»).

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