Le sinistre sono due: una bullista e perdente, l’altra snob e perdente

Caro Granzotto, dopo la soddisfazione per l’en plein ottenuto alle recenti elezioni regionali una domanda secca: come si spiega il tracollo della sinistra? E da chi è rappresentata? Davvero ora pensano di farla rappresentare da Nichi Vendola?
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Di sinistre ce ne sono due, caro Dellera. Una appariscente e l’altra senza visibilità. La seconda è quella che conta ai fini elettorali, ma della quale nessun esponente della nomenclatura democratica tiene conto. La considerano sic et simpliciter, il parco buoi. La prima è invece quella che appare, sgomitando prepotentemente: girotondini, panchiopardico «ceto medio riflessivo», «popolo viola» (colore vedovile, fra l’altro), ondisti, nichivendolisti, grillisti, morettiani, repubblicones, tribù Micromega e dunque manettari travaglisti, santoriani e dipietristi, intellettuali con la puzza sotto il naso, damazze tenutarie dei salotti progressisti romani e milanesi, società civile «impegnata nel sociale» (impegno che si esaurisce nella firma ai ripetuti appelli lanciati da la Repubblica. Una firmetta e la coscienza sociale è a posto per un bel pezzo), larghisti («Largo ai giovani!») tendenza Debora Serracchiani, i così detti «semplicemente democratici» che si contrappongono anagraficamente ai «sinceri democratici», liquidisti (assertori del partito «liquido», all’americana) e bartalisti (da Gino Bartali e il suo «l’è tutto sbagliato, tutto da rifare»). Quella roba lì, come massa d’urto elettorale conta qualcosina più dello zero, però «è» la sinistra, la sua immagine e il suo (multiforme) pensiero.
A rappresentarla in modo esemplare abbiamo da un lato Lidia Ravera e dall’altro Massimiliano Fuksas (e signora). Candidata nella lista Bonino (il suo chicchissimo slogan recitava: «Contro il disincanto riprendiamoci la politica») e ovviamente trombata, Ravera si è rivolta ai suoi sodali consigliando loro di non deprimersi limitando l’«impegno» politico «alla tristezza condivisa di tante cene intelligenti». Poi, sull’Unità, ha scritto che una volta preso nota dei risultati elettorali (la batosta) le è venuto «un languore impacciato, un senso della propria diversità. Come stranieri in patria. Chiusi a riccio, con l’eleganza dei perdenti». Cene intelligenti, diversità, eleganza e languori: la mitologia dei «sinceri democratici» è tutta in quel birignao, caro Dellera. Fuksas, architetto miliardario fra i più animosi rappresentanti della società detta civile, incarna l’altro volto della sinistra in passerella. Come ricorderà, caro Dellera, non molto tempo fa l’archistar in questione espresse il suo democratico e civile dissenso per l’ingresso di Guido Bertolaso nel ristorante ove egli stava abboffandosi. Vistolo sopraggiungere prese a sbraitare: «Ma guarda quel pezzo di m..., sto c... di Bertolaso che va ancora in giro!». Per dar più corpo alla sua democratica e ovviamente civile protesta, prese poi a lanciare una formaggiera, qualche stoviglia e un’oliera all’indirizzo di un avventore - da Fuksas democraticamente e civilmente definito, nell’ordine, bullo, squadrista e fascista - che protestava per il linguaggio scurrile.

L’interpretazione autentica e sinceramente democratica della triviale gazzarra inscenata da un Fuksas che a detta dei testimoni «pareva un invasato» è stata data dalla signora Doriana Mandrelli in Fuksas. Testuale: «Possibile che adesso non si è nemmeno liberi di commentare un fatto al proprio tavolo con gli amici?».

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