Cronache

SIPARIO

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La bufera è passata. Ma come passano le bufere al Carlo Felice. Fino alla prossima.
Perchè - se è vero che la Manon è andata in scena regolarmente con la direzione di Oren e che gli spifferi che avevano impedito le prove quando doveva dirigerla Frizza si sono immediatamente trasformati in «straordinario calore» dei musicisti nei confronti di un maestro descritto come una specie di via di mezzo fra Arturo Toscanini, Riccardo Muti e Claudio Abbado - è altrettanto vero che la situazione è ancora magmatica.
Soprattutto, non è cambiato il vero obiettivo delle truppe che vivono per Oren, talora supportate sia in consiglio di amministrazione che in Comune dagli uomini vicini a Marta Vincenzi: il sovrintendente Gennaro Di Benedetto. E anche le prime dichiarazioni nei confronti del nuovo direttore artistico Cristina Ferrari non si sono distinte per cortesia, bon ton e spirito di accoglienza.
Addirittura, i fans di Oren hanno rimesso nel circolo dei veleni, descrivendola come il massimo degli scandali, l’idea di Di Benedetto di affidare ad Albano Carrisi la parte del cantante italiano (una cavatina di poco più di tre minuti) nel Der Rosenkavalier di Richard Strauss e Hugo von Hofmannstahl, la prossima opera in programma al Carlo Felice, a partire dal 9 febbraio. Personalmente, ribadisco che la trovo un’ottima idea. Se non altro, perchè darebbe un’incredibile visibilità mediatica nazionale al nostro teatro lirico. Visibilità in questo momento azzerata, nonostante la presenza di un apposito ufficio stampa che sforna comunicati scoppiettanti.
E poi, via di questo passo. A Di Benedetto viene rimproverato di essere poco artista, di essere troppo amministratore, di pensare ai conti del teatro, come se non pensarci migliorasse la qualità delle esecuzioni, anzichè rischiare di azzerarle.
Soprattutto, gli viene rimproverata la sacrosanta durezza nelle relazioni sindacali. E anche in questo caso, è difficile dargli torto. Gli artisti del teatro lirico, messi a confronto con tante altre categorie di lavoratori, a partire dagli operai, sono dei privilegiati. Ed è chiaro che, non sempre, si può tirare la corda per avere di più. Invece, a volte, sembra che il sacro fuoco dell’arte lasci spazio all’ardore per il sindacalismo musicale. Tanto che al Carlo Felice proliferano sempre nuove sigle, peraltro senza dar modo di apprezzare fino in fondo in cosa consista il guadagno per gli spettatori e gli amanti della lirica da tale proliferazione.
Insomma, si sta giocando una partita vitale per il Carlo Felice. La difesa del sovrintendente, pur con tutti i suoi difetti, è il passaggio necessario per assicurare un futuro degno di tal nome al nostro teatro lirico.

Magari non sufficiente, ma necessario sì.

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