«La siringa nascosta nello zaino per dare l’eutanasia a mia sorella»

Per lui arresti domiciliari in una comunità protetta

«La siringa nascosta nello zaino  per dare l’eutanasia a mia sorella»

da Milano

Bruno lo dice anche al giudice, che il suo è stato «un gesto d’amore». Che a Paola, la sorella, ha «sempre voluto molto bene», e quella ormai era solo «una specie di vita». Anzi, Paola «era già morta». E così ha scelto l’eroina, perché «mi risultava che la morte per overdose non causa sofferenze o convulsioni». Ma «non lo rifarei». No, quel gesto «è stato dettato dalla disperazione». Così parla Bruno C., 53 anni, che il 2 aprile scorso cercò di iniettare una miscela di acqua ed eroina nelle vene della sorella in coma. Eutanasia. La dolorosa ricostruzione di un tentato omicidio (perché di questo l’uomo è accusato), che ha convinto il gip di Milano Guido Salvini a concedere gli arresti domiciliari in una comunità protetta, e fatto cambiare idea anche al pm Claudia Vulpio, inizialmente decisa a chiedere il carcere. «Il gesto commesso dall’indagato - si legge nell’ordinanza firmata da Salvini - è stato esclusivamente dettato da una situazione di dolore e di prostrazione». Così Bruno C. racconta quel giorno. Dalla sua casa di Genova all’ospedale di Garbagnate, con una siringa nello zaino. E questo è il suo «ultimo saluto a Paola».
L’ultima visita. «Paola aveva avuto un lungo periodo di tossicodipendenza. Poi quattro anni fa, mi sembra a Parigi, si è gettata dal quarto piano. Ha seguito un lungo periodo di riabilitazione che non era ancora concluso a gennaio, al momento dell’incidente che l’ha portata ad una situazione di coma irreversibile». Da quel momento, «io e mia sorella Lia ci siamo alternati tutte le settimane ad assisterla». Ma «quando l’hanno portata a Garbagnate ho capito definitivamente che non c’era più niente da fare e che non si sarebbe più ripresa. Sono andato a trovarla sabato 31 marzo e sono tornato a Genova disperato e prostrato dal dolore. Ho deciso allora che mia sorella non avrebbe dovuto più continuare quella specie di vita in quelle condizioni».
Lo zainetto. «Sono andato domenica pomeriggio nella zona vecchia di Genova dove è facilissimo comprare eroina, e ho comprato per 90 euro quattro dosi da un nordafricano. Quando ho comprato la droga ho chiesto se era buona. Lo spacciatore ha capito che non ero pratico e mi ha detto che era buona, che se mi facevo una busta sarei “andato in orbita”, ma di non “spararmela” tutta insieme. Espressione da cui ho capito che era sufficiente per quello che volevo fare. Ho scelto l’eroina perché è facilmente reperibile, e mi risultava che la morte per overdose non causa sofferenze particolari o convulsioni. Ho sciolto le quattro dosi nell’acqua quando sono giunto a Garbagnate, e ho messo il tutto in una boccetta. Prima di entrare nella casa di cura ho aspirato il contenuto in una siringa da 5 ml che avevo comprato. Sono operazioni semplici, anche se personalmente non mi sono mai bucato. Avevo tutto nello zainetto».
La carezza. «Quando sono arrivato da mia sorella, non stavo bene, ero sconvolto per quello che stavo facendo. Avevo due birre nello zaino per farmi coraggio, ma non le ho nemmeno bevute. A un certo punto sono rimasto da solo con lei nella stanza dove c’era un’altra donna nelle stesse condizioni». «Era mia intenzione, non sapendo fare endovenose, bucare con l’ago della siringa il tubicino della flebo e in questo modo provocare un arresto cardiaco. Ero proprio in procinto di farlo quando sono stato sorpreso dalle infermiere. Non ho reagito e ho consegnato subito la siringa e mi sono fatto portare via. Ero rimasto vicino a Paola da solo per circa cinque minuti, l’avevo accarezzata e pettinata come facevo sempre. Per me era l’ultimo saluto. Nei mesi precedenti ero stato qualche volta con lei anche due ore, mentre qualche volta non ce la facevo e scappavo via».
È già morta. «Ai Carabinieri ho detto che ero ben deciso, se avessi potuto, a rifare quel gesto. Ma non è così. Ero disperato, avrei potuto dire qualsiasi cosa. Anche che mi sarei sparato.

L’importante era che si capisse il significato di ciò che volevo fare, era un atto d’amore, e discendeva dall’amore che ho sempre provato per Paola». Perché Paola, per lui, ormai non c’era più. «La stavo uccidendo - dice Bruno - ma tanto era già morta».

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