Enrico Lagattolla
Il bacio è da pellicola hollywoodiana. Lui si esibisce in una stretta passionale, torniti i bicipiti e con tanto di tatuaggio, due spalle così, torso nudo e cappello da cowboy calcato in testa. Il suo compagno, pure. Piazza della Repubblica, un insolito pomeriggio di giugno. Facile istantanea del «Gay pride 2005».
Facile, appunto. Oltre alle icone da scontato immaginario cameratesco, tutte le sfumature di una giornata allinsegna dellorgoglio omosessuale: giovani e non, abiti «english style» e travestimenti trash, associazioni di genitori omosessuali e di genitori «di» omosessuali, gruppi religiosi (anche quelli), gruppi di discussione, esponenti della politica.
Cè il presidente della Provincia Filippo Penati, e presenti - tra gli altri - Nichi Vendola da Bari, il responsabile del dipartimento dei diritti civili dei Ds Luigi Manconi, il verde Alfonso Pecoraro Scanio, il diessino Franco Grillini. E con loro, anche personaggi dello spettacolo e della moda, da Cecchi Paone allo stilista Frankie Morello.
Più semplicemente, giornata di rivendicazione. Leggi lo striscione «Zapatero santo subito», e capisci di che diritti si parla. Parola dordine: «Pacs», Patto civile di solidarietà. In altri termini, coppie di fatto.
Sono le 4 passate, e parte il corteo. In testa a tutti, il trenino delle «Famiglie Arcobaleno», lassociazione dei genitori omosessuali. Con le madri, una ventina di figli nati in provetta. Sfilano «per la necessità urgente che anche in Italia ci venga dato un riconoscimento legale», dice Patrizia, mamma di due bambini nati da fecondazione eterologa. «I Pacs sono necessari - spiega -, dobbiamo pensare ai diritti dei nostri figli e non solo alla loro nascita».
Dietro il trenino, una quindicina di camion addobbati che sembra il carnevale di Rio (con tanto di brasiliani al silicone), revival musicale dagli altoparlanti, note di Gloria Gaynor-Abba-Oxa-Rettore, strade bloccate con qualche automobilista dal colpetto di clacson facile che sa di sfottò, passanti curiosi, e bandiere arcobaleno.
Arrivano da tutta Italia. «Brescia cè», si legge. E ci sono anche Bologna, Torino, Roma, la Sardegna e il Salento. Alla fine saranno più di ventimila, stando alle cifre delle forze dellordine. Di cifre gli organizzatori non ne danno, ma raddoppiano (più o meno) la posta.
Ci sono i «cristiani omosessuali», «perché - dice Luca, che regge lo striscione - nel Vangelo è punita lipocrisia, non la libertà». E sono daccordo quelli dell«Unione degli atei e degli agnostici razionalisti» (di cui fanno parte anche lastronoma Margherita Hack e il matematico Piergiorgio Odifreddi), «in piazza perché gli omosessuali sono ancora vittime di pregiudizi», spiega Giorgio Villella, che dellassociazione è il segretario nazionale. «Noi manifestiamo - prosegue - perché in Italia abbiano cittadinanza i diritti di tutti».
Cartelli e magliette di ogni genere, dal mistico «e se Dio fosse daccordo?», allironico «non sono gay, ma il mio ragazzo sì».
E poi borchiati, tatuati, palestrati, gente comune e persino conosciuti (?) pornodivi. Un corteo che non passa certo inosservato. Attraverso via Manzoni, davanti alla Scala e a Palazzo Marino, sfiorando il Duomo, e finendo allArena, quella dei matrimoni civili.
Tra tanti striscioni, uno. «Polis aperta, gay in divisa», e scopri che i cinque dello sparuto manipolo sono poliziotti, e ti spiegano «che qui siamo in pochi, perché nelle forze dellordine non tutti dichiarano la propria omosessualità». Battute da caserma e anonimato, lunico connubio possibile.
I passanti guardano. Curiosi lo sono tutti. Alcuni osservano divertiti, altri sorpresi, qualcuno sconcertato. «Che schifo!», ottantenne sentenzia. «Signora, non esageri», ribattono. «Ognuno è libero di pensare quello che vuole» Appunto.
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