La beffa dopo il danno. Dieci giorni dopo aver tirato il collo alla Fininvest, imponendole un risarcimento di 750 milioni di euro, Raimondo Mesiano era stato promosso dal Csm. Il Consiglio superiore della magistratura gli aveva tributato una sorta di standing ovation , riconoscendogli doti di «indipendenza, imparzialità, equilibrio ». Curioso, perché il magistrato nelle cui mani era finito un caso così esplosivo, aveva stabilito il più alto indennizzo della storia d’Italia affidandosi esclusivamente alla propria analisi, senza chiedere aiuto a qualche professore. Strano, perché in Italia una perizia non si nega a nessuno e a nessun argomento, ci si appoggia ai consulenti perfino per valutare il valore del raggio di una bicicletta. Niente da fare, perché Mesiano aveva fatto di testa sua, da solo, nel suo ufficio di giudice monocratico.
Adesso si scopre che quella cifra monstre era eccessiva: si passa, o meglio si scende da 750 milioni a 560. Non che 560 milioni siano pochi, ci mancherebbe, i numeri sono sempre da record, ma da primato è anche lo sconto concesso: 190 milioni, un quarto circa del totale. Centonovanta milioni sono trecentosessanta miliardi di lire, un tesoro che brilla e che potrebbe pure fare la differenza nel futuro di Fininvest, oggi buio. Naturalmente i militanti in servizio straordinario dell’antiberlusconismo celebreranno la vittoria e diranno che giustizia è fatta grazie a Mesiano.
Non solo: ricorderanno che Mesiano fu seguito, anzi pedinato dalle telecamere di Mediaset persino dal barbiere e, fra una shampoo e un taglio di capelli, si disquisì in tv persino del suo calzino turchese. Tutto vero, come è vero però che il giudice, a onor del vero poco incline a sfruttare la platea televisiva, fu inserito a forza nell’inesauribile galleria degli eroi che hannodato una picconata alla presunta dittatura berlusconiana. Così funziona l’Italia: invece di preoccuparsi di chiarire la solidità dei pilastri su cui si reggeva quel verdetto così devastante, la solita claque portava in trionfo il giudice. Raimondo Mesiano come Ilda Boccassini e più di Ilda Boccassini e come tutti quelli che li hanno preceduti e li seguiranno, in una guerra senza quartiere che dura ormai da diciassette anni e va dall’avviso di garanzia recapitato a Napoli nel novembre ’94 al processo Ruby. Un catalogo di procedimenti e azioni che lasciano sbigottiti: davvero la magistratura milanese ha battuto tutte le strade e non si è fatta mancare niente nella guerra a Silvio.
Nemmeno il verdetto astronomico di Mesiano. Subito trasformato in icona dai giornali amici e casualmente premiato dal Csm che, naturalmente, escluse un qualche collegamento fra la propria valutazione e la sentenza-killer. In realtà la beatificazione di Mesiano è finita quando la Corte d’appello ha chiamato in causa tre luminari, per calcolare con criteri scientifici la posta in gioco. E il terzetto ha riportato in terra il magistrato più citato d’Italia e il suo verdetto: Luca Guatri, Maria Martellini e Giorgio Pellicelli hanno trovato almeno due errori nel «solitario »del giudice:una scivolata,lunga in verità, sui conteggi, stimata fra i 34,5 e i 54,1 milioni di euro; e poi il non aver considerato la variazione del valore delle società contese, nel biennio decisivo 90-91. Una disattenzione da 40,3 miliardi di lire, più o meno 20 milioni di euro. Alla fine i tre tecnici hanno proposto una riduzione della stangata di un terzo circa, intorno al 30-35 per cento. Una correzione che a qualcuno, accecato dal furore ideologico, parrà un dettaglio di secondaria importanza. E però un terzo di 750 milioni sono 250 milioni. Non proprio briciole se solo pensiamo che oggi ilvalore della quota di Fininvest in Mondadori si aggira sui 300 milioni di euro. Dunque, poco di più.
La Corte d’appello ha ritoccato all’insù il pacchetto ed è stata meno generosa con la Fininvest. I giudici hanno seguito fino a un certo punto le indicazioni dei periti, hanno aggiunto e hanno tolto, spostando paletti. E riducendo lo sconto da un terzo a un quarto. Del resto questi magistrati non arrivano da Marte ma sono vicini di casa di Mesiano. E tanto per dire come la pensano, fra di loro c’è Walter Saresella e Saresella ha scritto, in una causa fra Vittorio Sgarbi e il pool Mani pulite, che il principio della ragionevole durata del processo viene prima di quello dell’imparzialità del magistrato chiamato a decidere il caso. Conclusione: condanna confermata per Sgarbi e buonanotte.Ora Mesiano tornerà sul piedistallo dell’Italia anti Cavaliere.
L’importante era assestare una mazzata al premier e alle sue imprese, anche se nel darla aveva sbagliato a scrivere il conto. E non aveva nemmeno fatto controllare la «fattura». Una «fattura» mai vista in tribunale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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