Sms o lettera? È il cuore che conta

Paola Barbato 

Le mie primissime lettere le ho composte su una gigantesca macchina da scrivere elettronica che mio padre aveva comprato dopo la triste dipartita della nostra vecchia Olivetti. Da quella sono passata al pc senza eccessive difficoltà. Ho scritto migliaia di lettere, e non è un modo di dire. Sceglievo con accuratezza la carta, spesso riciclata, spessa, granulata e di colori diversi che facevano a pugni con l'inchiostro e la stampante. Immaginavo sempre le mani che avrebbero aperto la busta rompendo la ceralacca (ho rischiato di causare più di un incendio con la fissa romantica del timbro), estraendo la lettera ripiegata in tre, lasciando inevitabilmente cadere quel qualcosa che avevo infilato nel mezzo, un fiore pressato, una sagoma ritagliata, persino sabbia. Oggi quel qualcosa si chiamerebbe «allegato». E magari verrebbe annunciato dalla voce di Homer Simpson che sentenzia: «Doh, è arrivato un nuovo messaggio!». Rimpianti? Qualcuno. Ma sono autocompiaciuti, perché tutto quel rituale appagava il desiderio di chi «metteva in scena» la lettera più di chi la riceveva e magari si ritrovava pure le scarpe coperte di sabbia e mi malediceva. Ci siamo persi la confezione per strada, questo è certo, per quanto una mail possa contenere musichette e sfondi allungando una mano si tocca sempre la stessa cosa: uno schermo coperto di ditate. Eppure... Eppure forse giocandoci la confezione ci abbiamo guadagnato in spontaneità. Perché, per quanto passionali e impulsive, le lettere necessitavano il tempo della scrittura, della rilettura, a volte addirittura quello della brutta copia. Il che non intaccava il valore del sentimento, ma l'immediatezza, la freschezza, l'estemporaneità sì. Per forza di cose venivano sacrificate, formalizzate e in parte spente, a favore di una correttezza grammaticale o della musicalità di una frase. Sarà poco romantico, sarà privo del fremito dell'attesa, dei giorni contati, eppure l'espressione di ciò che si sente qui e ora è un valore aggiunto, e chi lo nega, mi perdoni, ma è un ipocrita. Certo, il fascino della busta chiusa è perso, ma sempre di emozioni si parla, di pulsioni, di sentimenti. Di sostanza.

E, spogliata della forma, la sostanza è sempre quella che si scaldava sotto la ceralacca. In un mondo che si affida sempre più di rado alle emozioni ogni varco aperto su di esse va benedetto e preservato come i panda. Anche se ha la voce di Homer Simpson.

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