Il socialista eretico che criticò l’Urss e i «rossi» di Spagna

George Orwell (Motihari, India, 1903 - Londra, 1950) è lo pseudonimo di Eric Arthur Blair. Pur essendo universalmente noto per due romanzi scritti verso la fine della sua vita, negli anni Quaranta - l’allegoria politica de La fattoria degli animali e sopratutto 1984 che descrive una distopia totalitaria in maniera tanto perfetta che l’aggettivo «orwelliano» viene oggi usato per descrivere meccanismi totalitari di controllo del pensiero - Orwell è stato come opinionista politico e culturale uno dei saggisti di lingua inglese più letti e apprezzati del ’900. Orwell infatti condusse sempre la sua «carriera» letteraria in parallelo con quella di giornalista e attivista politico. Si definì sempre socialista ma le sue forti critiche all’Unione Sovietica e allo stalinismo lo portarono a scontrarsi con una parte della sinistra dell’epoca (celebre il suo Omaggio alla Catalogna, diario-reportage del 1938 contro i comunisti spagnoli, accusati di aver tradito lealisti e anarchici in Spagna).

Tra gli ultimi suoi titoli pubblicati in Italia, La figlia del reverendo (Mondadori, 2005) - il secondo romanzo di Orwell, uscito nel 1935, un atto di denuncia sociale che prende spunto dal mondo dei disperati e degli emarginati dei sobborghi di Londra - e Ricordi della guerra di Spagna (Datanews, 2005), un saggio nel quale lo scrittore inglese racconta la sua partecipazione alla Guerra civile spagnola descrivendo la realtà drammatica della guerra e i conflitti interni alla sinistra repubblicana che sfociano in tragedie sanguinose fra anarchici e comunisti, fra militanti del POUM e comunisti stalinisti. Tra qualche settimana Mondadori rimanderà in libreria il primo romanzo di Orwell, Giorni in Birmania.

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