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L’albero di Natale non è in guerra contro il presepe. Sono come dei "cugini"

Se il presepio ricorda la cronaca di ciò che è successo, l’albero consegna il senso e il mistero

L’albero di Natale non è in guerra contro il presepe. Sono come dei "cugini"
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Nella piccola chiesa della Madonna del bosco a Bergamo, dove sono parroco, quest’anno abbiamo addobbato l’altare con un bellissimo albero di Natale. Troneggia sull’angolo destro della mensa, al centro della quale hanno il posto d’onore Maria e Giuseppe in attesa di mettere la culla di Gesù bambino.
In questi giorni dell’anno il Confessionale vede il picco di utenti, anche se il numero è in calo. Può succedere perciò che qualcuno debba aspettare qualche minuto per avvicinasi a chiedere il perdono. Nell’aprirsi della porta tra uno e l’altro intravedo una distinta signora, frequentatrice assidua della parrocchia, che chiede di accedere con urgenza. Mi incuriosisce perché si è confessata da pochi giorni. Entra, chiude la porta, mi punta contro il dito e dice: «Lei deve chiedere perdono a Dio per aver messo sull’altare quell’albero pagano. Deve pentirsi! È un sacrilegio cedere così alle mode laiciste!». Dopo un istante di smarrimento per lo scambio di ruoli e dopo aver incassato il rimprovero, le dico: «Ma come?! Non sa che è il simbolo più teologico che abbiamo della nascita di Gesù?». Mi guarda furente pensando che la stia prendendo in giro.
Allora le offro la mia spiegazione: «Si crede che l’albero sia in contrapposizione al presepe, come se fosse il cugino ateo che non ha nulla a che fare con le robe di chiesa. In realtà sono gemelli diversi. Mentre la rappresentazione della nascita di Gesù è un’idea geniale di San Francesco d’Assisi nella notte di Natale del 1223 a Greccio, l’albero è un simbolo sacro molto più antico.
Se il presepio ricorda la cronaca di ciò che è successo, l’albero consegna il senso e il mistero. Nelle culture antiche l’abete è stato considerato immagine della forza della vita perché è rigogliosamente verde quando le altre piante spoglie sembrano morte. Nell’antico Egitto evocava fertilità come in Grecia era simbolo di Artemide, dea delle nascite. Lo conferma la tradizione della “corona d’Avvento” con la forma circolare che richiama il riprodursi continuo della natura nel “venire alla luce” come suggeriscono le candele e rimanda all’anello della promessa di un amore che si rinnova. Molti secoli fa i cristiani videro nell’abete l’albero della vita del paradiso terrestre le cui foglie diventarono aghi appuntiti quando Adamo e Eva colsero il frutto proibito, convinti di poter fare a meno di Dio. Da qui ogni cosa si sciupò.
La nascita di Gesù invece ribalta tutto e così tutto può ricominciare da capo. L’albero che rifiorisce narra dunque l’inizio di una nuova creazione per il mondo. Il frutto della discordia che la tradizione raffigura nella triste mela causa di vergogna e accuse, diventa pallina rossa lucente che unisce nel divertirsi a porre le decorazioni. I rami sterili con gli aghi che fanno male pungendo ritrovano il colore dei germogli nella fantasia degli addobbi, tanto che nell’antichità si usava mettere gustosi dolci come frutti da cogliere. L’insidioso serpente diventa striscia sinuosa: la minaccia velenosa che stritola si trasforma in oro e argento che avvolge per impreziosire: anche il male può diventare una lezione quando la crisi diventa opportunità. Nel mito di Genesi poi il cielo si chiude minaccioso quando l’uomo vuole altro e decide di fare a meno di un oltre, ritenendosi padrone della vita e plasmatore della verità, trovandosi poi fragilmente nudo con se stesso e antagonista contro gli altri. Per questo l’albero di Natale culmina con una stella. Non è la cometa per attaccare qualcosa di religioso perché “non si sa mai”. È un gancio in mezzo al cielo, è raffigurazione della scelta personale di accendersi come le lucine. Simmetrici alla stella in alto, ci sono i doni in basso. Nella creazione anche la terra diventa dura e nemica, invece il Natale riempie il suolo di gesti d’amore. Un Dio che si fa bambino ribalta tutto, cambia la prospettiva, fa guardare anche le cose più scontate in modo diverso». La sciura è perplessa. Non dice altro che un «mah!». Mi saluta con un deciso: «La lascio al suo lavoro, comunque a me l’albero sull’altare non piace, preferisco il presepe!». «Infatti ci sono ambedue», le rispondo. E la sento commentare: «Vuol sempre avere ragione lui!».


Mentre sorrido tra me e me, guardo dalla porta l’albero di Natale e mi sovviene una frase del rabbino Abraham Joshua Heschel: «Non c’è nascita e quindi speranza in cui l’uomo e Dio non siano coinvolti insieme. Dio non può farcela da solo: per realizzare il suo sogno Dio deve poter entrare nei sogni dell’uomo e l’uomo deve poter sognare i sogni di Dio».

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