La prima notizia è che ha vinto Somewhere di Sofia Coppola. La seconda è che nessun italiano ha vinto alla Mostra del Cinema di Venezia numero 67. I pronostici delle ultimissime ore sono stati in parte smentiti dai verdetti della giuria. A presiederla c’era quel folle genialoide di Quentin Tarantino che alla premiazione è arrivato vestito con giacca, cravatta e occhiali da sole neri, proprio come uno dei protagonisti del suo Le iene, il film che lo lanciò nel ’92. Ad aiutarlo nella produzione c’era un mostro sacro del cinema, Monte Hellman, il regista del fondamentale The Shooting del ’67, che qui a Venezia ha portato il nuovo Road to Nowhere.
Per lui la Mostra ha rispolverato un premio raro, il Leone d’Oro per l’insieme dell’opera. «Perché - ha spiegato Tarantino - è un grandissimo artista». Il canuto Monte Hellman ha ringraziato l’amico con un po’ d’ironia: «Sono il regista più anziano qui e, prima di morire, ho realizzato il mio vero film. Ringrazio tutti gli interpreti e in modo speciale Fabio Testi». Che poi è l’unico nome di un italiano risuonato nella sala grande dello storico palazzo del cinema con la presenza istituzionale del sottosegretario ai Beni e alle Attività Culturali, Francesco Maria Giro, insieme a eterogenei vip come Diego Della Valle e Alba Parietti la quale, inciampando, ha scoperto un seno. Perché la giuria, in cui sedevano ben due registi italiani, Luca Guadagnino e Gabriele Salvatores, dei 24 film in concorso sembra non aver mai preso in considerazione i nostri Martone, Costanzo, Celestini, Mazzacurati. Quentin Tarantino, evidentemente rimasto legato all’amato cinema italiano stracult degli anni ’70, ha tenuto a ripetere spesso una frase rivelatrice: «Abbiamo deciso all’unanimità». E già dietro l’angolo fa capolino una polemica sul nostro cinema bistrattato. Meglio allora cercare di anticiparla, come fa Paolo Baratta, il presidente della Biennale, citando il commento entusiasta di una giornalista anglosassone: «Venezia emerge come vincitore in termini di prestigio e originalità rispetto agli altri festival».
Comunque, se il verdetto di Venezia penalizza gli italiani, almeno dà una mano a Medusa che ha appena distribuito nelle sale il Leone d’Oro annunciato sul palco da un inedito Tarantino emozionatissimo e lirico: «Questo film ci ha incantato fin dalla prima scena, è cresciuto dentro di noi, nelle nostre analisi, nelle nostri menti, nelle nostre fantasie. È stata una passione. Per questo è un grande onore annunciare il premio a Sofia Coppola per Somewhere». Emozione dettata dal fatto che la figlia del grande Francis Ford ha condiviso per un po’ di tempo l’amore con lui? Vai a saperlo. Sofia comunque, applauditissima sul red carpet con il marito Thomas Mars (il cantante del gruppo francese dei Phoenix), non è apparsa emozionata come il suo ex: «Mio padre mi ha insegnato tutto, e io mi sento anche italiana».
La serata di chiusura, trasmessa in diretta su Rai4, è filata via liscia grazie alla conduzione di Isabella Ragonese, l’attrice che proprio a Venezia ha debuttato in Nuovomondo di Emanuele Crialese. Accanto a lei il direttore Marco Müller, molto sicuro nel dirigere i premiati. Così sono velocemente passati il regista russo Aleksei Fedorchenko (Osella per la migliore fotografia a Silent Souls) e il Premio Marcello Mastroianni dato alla giovane attrice Mila Kunis, l’antagonista di Natalie Portman in Black Swan di Darren Aronofsky.
Gabriele Salvatores, per il quale «gli attori sono anche autori dei film», ha consegnato la Coppa Volpi femminile ad Ariane Labed del greco Attenberg di Athina Rachel Tsangari. Mentre quella maschile è andata al ruolo da talebano di Vincent Gallo in Essential Killing di Jerzy Skolimowski. L’attore, da buon fantasma del festival (andava in giro col passamontagna), non è salito sul palco nonostante il suo regista gli gridasse: «So che sei lì da qualche parte, dài su vieni...». Poco dopo Skolimowski è stato nuovamente chiamato per ricevere il premio speciale della Giuria e i personali complimenti di Tarantino. Il Leone d’Argento per la migliore regia è andato allo spagnolo Alex de la Iglesia per il suo Balada triste de trompeta con clown protagonista. Il giurato Arriaga ci ha scherzato su: «Tenete conto che noi non amiamo i pagliacci». A quel punto il regista s’è platealmente inginocchiato davanti alla giuria, che poco prima gli aveva consegnato anche un Osella per la migliore sceneggiatura, urlando: «Grazie amici, questi giorni sono stati i migliori della mia vita».
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