Sofri: la grazia che spacca il Paese entrerà nella storia

Chiedo se sia possibile sapere:
1. Quanti imputati possono vantare il privilegio di essere stati giudicati 8 volte per uno stesso fatto e condannati per omicidio come i signori Sofri e Bompressi?
2. Quanti detenuti per omicidio godono del privilegio previsto dalla legge di passare le giornate tra interviste, articoli su riviste di punta ed elargire opinioni su problemi politici, letterari, sociali e questioni morali (sic)?
3. Quanti assassini hanno goduto del privilegio di uscire dal carcere per andare dove vogliono senza controlli?
4. Quanti detenuti per omicidio attendono di potere godere dello stesso trattamento senza essere riusciti a superare la discrezionalità dei giudice?
5. Quanti detenuti possono vantare il privilegio che, a proposito della loro concessione di grazia, anche non richiesta, siano riusciti a determinare il noto dissenso tra presidente della Repubblica e ministro della Giustizia con il ricorso alla Consulta perché sia risolto tale importante problema che ha tolto il sonno agli italiani?


Alla prima domanda è facile rispondere, caro Farella: nessun altro imputato, qui nella madrepatria ma anche nel resto del mondo, Terzo compreso, ha potuto contare, per il medesimo reato, su una tale sfilza di procedimenti giudiziari finiti a sentenza. Venendo alla seconda domanda, mi par proprio che a tutti i detenuti sia concesso, ove ciò piaccia loro, di scrivere, rilasciare interviste, ricevere in orario debito le visite, giocare a pallone ed elargire opinioni sui più disparati argomenti. Da questo punto di vista Sofri non gode di particolari privilegi salvo quello, pare assai ambìto, di soggiornare in una cella che non deve dividere con altri e di poter disporre dei mezzi di comunicazione - posta, telefono, fax, e-mail - con una certa liberalità. Non penso di sbagliare affermando che il carcere di Pisa sia tutt’altra cosa dello Spielberg o di un gulag (e, lo aggiungo per far contenti i sofristi, di un Abu Grahib). Se l’illustre detenuto ebbe a stizzosamente lamentarsi perché in base al regolamento carcerario che autorizza la sola introduzione di volumi in brossura, una copia dello Zibaldone di Leopardi gli giunse privo di copertina, se i fastidi sono quelli, intendo, non dico che c’è da metterci la firma, ma siamo lì. Alle domande numero tre e quattro ha risposto, e quante volte, la cronaca nera: perfino un Jack lo Squartatore può avvantaggiarsi dei benefici della legge Gozzini, ovvero andarsene in libera uscita (e magari approfittarne per riprendere a squartare). La domanda numero cinque è retorica: dalla nascita della Repubblica il Capo dello Stato ha firmato - e il ministro di Grazia (appunto) e Giustizia controfirmato - qualcosa come 46mila provvedimenti di clemenza e mai s’era alzato un tale polverone, mai s’era assistito a un conflitto fra istituzioni e, soprattutto, mai la concessione di una grazia aveva spaccato il Paese come lo spacca quella che pende, via Bompressi, sul capo di Adriano Sofri. Il quale può benissimo trarne beneficio senza richiederla poiché l’attuale, fresco fresco articolo 681 del Codice di procedura penale prevede che possa essere accordata anche in assenza di domanda o di proposta (e non potrebbe rifiutarla, anche se continua a ripetere di non esserne interessato giacché, in quanto innocente, non deve essere graziato di un bel niente).
Il fatto che dopo 46mila grazie filate lisce come l’olio (persino quella che Sandro Pertini concesse al comandante partigiano Mario Toffanin, condannato per la strage della Malga Porzus) quest’ultima divida l’Italia togliendo, come lei dice, il sonno ai cittadini, è un problema che penso lo tolga, il sonno, anche al nostro buon Presidente Ciampi che rappresenta, se non vado errato, l’unità nazionale. Ove la Consulta dovesse attribuirgli il potere incondizionato di firma - e se dovesse poi firmare - l’esultanza, che non è difficile immaginare fragorosa, dei sofristi gli sarebbe certamente di grande conforto. Ma non tale, io credo, da consentirgli di poter ignorare il silenzio di biasimo dell’altra Italia. A fine carriera gli toccherà insomma prendere la decisione più grave, quella che sigillerà, dandogli l’impronta, l’intero settennato.

Quella per la quale ci si ricorderà di lui come Capo dello Stato.
Paolo Granzotto

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