Politica

Sofri ospite d’onore del sindaco al Palio di Siena

Stefano Zurlo

da Milano

C’è un ministro, Carlo Giovanardi, che si affaccia defilato da uno dei balconi di Piazza del Campo. E c’è Adriano Sofri che si affaccia alla finestra d’onore del Palazzo Pubblico, sede del Comune di Siena. Il Palio dell’Assunta è anche questo. I cavalli, le curve mozzafiato, un ribollire di passioni e dall’alto dei palazzi medioevali l’ostinarsi a non riconoscere, sul piano delle forme, la nostra storia. Sofri e la moglie Randi vengono ricevuti dal sindaco Maurizio Cenni e dall’ex vicepresidente del Parlamento europeo Roberto Barzanti. Poi, il primo cittadino rompe gli indugi e, mentre la piazza si riempie dei colori della festa e della contesa, dichiara alla agenzie: «Siamo felici di avere Sofri nostro ospite».
Dal suo balcone laterale, Giovanardi osserva: «Il ministro è qui come privato cittadino, Sofri come ospite ufficiale. Ma la mia non è una polemica, è solo una constatazione». La piccola lista delle personalità coccolate dal municipio è presto detta: Sofri e signora, l’ambasciatore d’Italia a Cuba Elio Menzione, l’allenatore del Siena Luigi De Canio, l’artista spagnolo Manolo Valdes, che ha realizzato il Palio. A rappresentare Roma, il sottosegretario alle Attività produttive Battista Caligiuri.
Poi ci sono le polemiche, inevitabili. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento studia i movimenti della folla, segue con gli occhi i gonfaloni e le bandiere, quello straordinario puzzle cromatico: «Mi dispiace, ma questo invito ufficiale a Sofri è un errore. Invece di aiutare a superare le divisioni politiche della nostra storia, si butta benzina sul fuoco, si rinfocolano le incomprensioni, si riaprono vecchie ferite». È il passato, come direbbero i tedeschi che a lungo hanno riflettuto sulla loro storia, che non passa. Perché negato o capovolto.
L’ora della contesa si avvicina. Giovanardi è circondato da gruppi di diverse contrade e non sa per chi tifare. Ma una cosa la sa con sicurezza: «Questo è il Paese che s’indigna perché solo pochi giorni fa l’ultranovantenne Erich Priebke è andato in vacanza in provincia di Varese, anche se con la benedizione del giudice e sempre nella condizione di detenuto agli arresti domiciliari. Questo è il Paese in cui il Comune di Genova decide di commemorare Carlo Giuliani con una lapide. E ora è il Paese in cui Sofri è ospite del Comune di Siena».
Nulla da dire, ci mancherebbe, sulla sua presenza a Siena. Sofri è un detenuto modello, al Don Bosco di Pisa. È considerato un punto di riferimento per il popolo dei carcerati e dal carcere continua a scrivere e ad essere apprezzato da migliaia di lettori. Da qualche mese usufruisce anche dei permessi canonici. E nulla da obiettare sulla sua lunghissima, orgogliosa e disillusa battaglia per vedere riconosciuta la propria estraneità al delitto Calabresi.
Il punto è la collocazione. In vetrina. Il problema è che l’ex leader di Lotta continua sembra essere per una parte del Paese un trofeo, un vessillo da sbandierare in faccia all’altra Italia. Succede con regolarità da molti anni, è capitato l’ultima volta qualche settimana fa quando la prestigiosa Scuola Normale Superiore gli ha affidato l’incarico di bibliotecario.
Ora la Piazza del Campo cuce queste contraddizioni e la faglia dell’incomprensione si allarga: «La presenza di Sofri al Palio - commenta Francesco Giro, responsabile nazionale di Forza Italia per i rapporti con il mondo cattolico - ospite del sindaco che addirittura esulta e si compiace, è stupefacente e ha dell’incredibile. Non voglio ritornare sulla grave e controversa vicenda giudiziaria di Sofri ma mi sembra incomprensibile volerlo a tutti i costi trasformare in un personaggio da vetrina, prima con l’incarico alla Normale di Pisa e ora con l’invito personale del sindaco. Prudenza e discrezione sono due regole che andrebbero osservate in simili circostanze - è la conclusione di Giro - anche per il rispetto che si deve, sempre e comunque, alla famiglia Calabresi». Che dal 1972 viene continuamente evocata dalle opposte fazioni di un Paese lacerato. Nemmeno Piazza del Campo, dove dopo 44 anni rivince la Torre, è un luogo adatto per riconciliare gli animi. Ciascuno si tiene le sue convinzioni. E la sua interpretazione della storia. Anche quando il rispetto istituzionale imporrebbe scelte controcorrente.

E, qualche volta, il silenzio.

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