Cultura e Spettacoli

Sol LeWitt, la complessità dell’essere semplice

Vicino al minimalismo, sostenne che l’idea è più importante dell’opera

È stato un artista dalla personalità complessa, nonostante l’apparente semplicità, Sol LeWitt, protagonista della scultura minimalista, teorico dell’arte concettuale, scomparso ieri a New York a settantanove anni.
LeWitt era nato a Hartford, nel Connecticut, nel 1928, da genitori emigrati dalla Russia. E il suo lavoro non si comprende pienamente se lo si colloca solo nella cornice statunitense, dimenticando quelle ascendenze appunto russe che lo portavano a una ricerca di essenzialità quasi alla Malevic, pur senza implicazioni mistiche.
LeWitt aveva iniziato a disegnare nel 1958, dopo essersi diplomato in una scuola per illustratori a New York. Aveva poi collaborato con l’architetto I.M. Pei, e quindi col MoMa, dove aveva conosciuto Dan Flavin, Ryman, Mangold, futuri esponenti del minimalismo. «Volevamo reinventare l’arte, tornare alle fondamenta» dichiarò un giorno.
Le sue prime opere sono di un’essenzialità assoluta, che verrà appunto definita «minimalismo»: lastre di legno piegate e verniciate in bianco e nero, cubi bianchi che si ripetono nello spazio, graticci modulari che si moltiplicano all’infinito, come l’Open Modular Cube del 1966.
«La forma è il mezzo e la disposizione è il fine» sostiene LeWitt, che vuole eliminare dall’arte ogni psicologia, ogni soggettivismo, ogni espressività. Non a caso molti interpretano le sue sculture come strutture logiche, come pure coordinate cartesiane.
La sua poetica, del resto, è vicina all’arte concettuale, cioè a un’arte secondo cui l’idea è l’aspetto più importante dell’opera, anzi è l’opera stessa. Nel giugno 1966 infatti LeWitt pubblica sulla rivista Art Forum i «Paragrafi sull’arte concettuale», destinati a diventare uno dei manifesti di quella tendenza. «L’idea è una macchina che crea l’arte. Ma non c'è bisogno che le idee siano complicate», scrive.
Deriva da questa poetica anche la convinzione che l’opera possa essere eseguita non dall’artista, ma da collaboratori che partecipano al processo creativo.

E lui stesso ne dà un esempio nei suoi Wall Drawings, pitture murali: linee geometriche graffite sul muro, come uno spartito che altri dovranno eseguire.

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