Neppure una settimana fa, il glorioso festival pianistico lombardo intitolato ad Arturo Benedetti Michelangeli, ha attribuito a Evgeny Kissin - atteso questa sera a Roma, per un recital nella stagione da camera di Santa Cecilia - il premio omonimo, indicandolo come «il più carismatico pianista della sua generazione». In effetti, basta scorrere il glorioso palmares del premio (Ashkenazy, Pollini, Rostropovich, Maazel, Argerich), per rendersi conto che esso costituisce la definitiva consacrazione di un musicista, anche nel caso di Kissin che è ancora un giovane, anzi un ragazzo, con i suoi 36 anni che in una carriera musicale, specie in quella di un solista, rappresentano lingresso nella maggiore età. Kissin, formatosi nella gloriosa scuola Gnessin di Mosca, dove si allevano geni musicali, ha già alle spalle una ventina danni di attività, con punti fermi che nessuno può mettere in discussione. Aveva 17 anni quando si guadagnò fama internazionale, auspice il vecchio Karajan che lo chiamò per il Concerto berlinese di Capodanno 1988 e, nello stesso anno, anche al Festival di Salisburgo. Nonostante ciò Kissin resta un giovane timido, che sembra vivere in un mondo tutto suo, non completamente a suo agio nei riti imposti dalla notorietà. Davanti a una schiera di giornalisti pronti a non fargli sconti a causa delletà, e a indagare sulla sua vita senza reticenze, sarebbe ben felice di fare scena muta, anzi di fuggire rendendosi irreperibile. Sul palcoscenico, invece, è unaltra persona. Sicuro, tecnica superlativa - le sue mani volano sopra qualunque passaggio anche il più proibitivo, con la baldanza tipica dei giovani - ma anche poetico e introspettivo.
Per la tournée italiana, che oggi tocca Roma, Kissin ha preparato un curioso programma che della sua multiforme personalità mette in luce molti aspetti. Schubert, per cominciare, lautore che i musicisti maturi prediligono sopra ogni altro, per la sua grande poesia (Sonata in mi bemolle maggiore D 568): a seguire le 32 Variazioni in do minore di Beethoven.
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