nostro inviato a Pinerolo
Caro diario, comincio a sospettare che questo Giro sia «made in China». Ma sì, una di quelle nostre griffe così apprezzate nel mondo e così abilmente taroccate dagli infaticabili imitatori con gli occhi a mandorla. Come sempre, anche in questo caso, il tarocco è subito smascherato, ad un'attenta analisi. Si vede benissimo che questo Giro ha solo il nome e la confezione del Giro originale. Diversa la qualità. Il Giro originale ha montagne vere, tappe vere, spettacoli veri. Questo presenta solo imitazioni. Già le cosiddette tappe dolomitiche si sono dimostrate autentiche falsificazioni, con pendenze e chilometraggi ridicoli, buoni solo per smascherare i favoriti tarocchi (Armstrong il primo, purtroppo pure Cunego). Ora la Cuneo-Pinerolo: diventata sessant'anni fa, grazie a Coppi, una griffe, alla resa dei conti si rivela la più taroccata di tutte. Dell'originale, mancano «solo» quattro cime: Maddalena, Izoard, Vars, Monginevro. Ma nonostante questo, i seppiati dentro del Giro scaricano senza ritegno le batterie caricate in mesi di preparativi. Basta una fuga da lontano di Garzelli: tutti sulla macchina del tempo, marcia indietro di sessant'anni, ed è subito delirio. Le immagini di Coppi e Bartali vanno via come il pane. Piovono libri celebrativi. Fioccano le maglie fantozziane in lana pesante, con i fascioni orizzontali. Spuntano come funghi rievocazioni e convegni.
Caro diario, quanta nostalgia dei tempi andati. Ma anche quanta malinconia per i cantori d'oggi, andati pure loro. Proprio non ce la fanno a stare nel presente, magari a pensare persino un poco al futuro. Vanno in Giro girati all'indietro, vanno in brodo di giuggiole al solo sentire i nomi di Pambianco e Defilippis. Già Gimondi sembra un po' troppo fuori tempo, fuori dal loro tempo, dove si sono fermati. Figuriamoci Di Luca. Vince in maglia rosa una tappa perfetta per le sue doti di scattista-rifinitore, sfruttando la discesa finale. Ottiene cioè il massimo dal minimo che il Mago Zom, patron illusionista di questo Giro taroccato, gli mette sotto le ruote. Eppure, dopo una bella pacca sulla spalla, il Processo si libera subito dei tempi contemporanei e prontamente apre la bancarella seppiata del vintage ciclistico, con una tale catasta di libri rievocativi che un tizio dovrebbe accendere un mutuo per comprarli tutti e campare cent'anni per leggerli.
Caro diario, lasciamo stare. Dico una bestemmia: guardiamo avanti. Voglio rendere omaggio a Di Luca, che a questo punto, sul percorso demontanizzato dal Mago Zom, diventa il nostro cavallino migliore per i giochi finali (Basso ha bisogno di tapponi che non ci sono, Cunego è già spacciato). Questo campione abruzzese mi piace perché non è Coppi e non è neppure Bartali, però strizza come spugne tutte le possibilità che gli capitano sottomano, cavandoci fuori manciate di secondi preziosi. Basta guardare la classifica: a piccoli passi, come diceva Mao prima della lunga marcia, Di Luca sta facendo grandi distanze. Purtroppo, domani l'aspetta una tale tortura personale, che francamente diventa carognesco chiedergli l'impossibile: il Mago Zom, dopo aver abolito tutte le cime mitiche dal Giro centenario, come noto ha avuto persino il buongusto di inventarsi la mega-cronometro delle Cinque Terre. Sono sessanta chilometri: una cronometro truculenta collocata proprio nel Giro più facile di sempre. Come a dire che lì i giochi si decideranno al novanta per cento. Un chiaro regalo per Armstrong, diventato però dopo le prime tappe un gradito regalo agli altri cronomen, come Menchov (a Pinerolo, bravissimo), come Sastre (bravino) e Leipheimer (malino). Sono curioso di vedere i distacchi. Purtroppo, prima della crono, c'è la tappa di Arenzano, già definita dai seppiati dentro della Rai, con occhiate maliziose e sinistre, cariche di premesse e di promesse, «la tappa dei luoghi coppiani». Non oso nemmeno immaginare.
P.S.
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