Solo una tassa inutile a danno del pubblico

L'eterno problema sono gli sprechi: tagliare è la strada giusta per creare un sistema competitivo

Pare proprio - tutto dipenderà dall’approvazione di un emendamento governativo del decreto mille proroghe che sarà discusso al Senato - che dal prossimo primo luglio i biglietti cinematografici costeranno un euro in più, a causa di un nuovo tributo che in linea teorica dovrebbe avere un carattere provvisorio (durerà fino al 31 dicembre del 2013, ad ogni modo), ma che ovviamente rischia di rivelarsi definitivo: nella peggiore tradizione italiana. Quanti propongono questo ulteriore prelievo si giustificano dicendo che le entrate serviranno a coprire le agevolazioni fiscali a favore dell’industria cinematografica. Il ragionamento, però, fa acqua.
Non ha alcun senso, in effetti, ridurre le imposte da una parte per poi alzarle dall’altra. È sicuramente necessario abbassare la pressione tributaria sulla nostra economia se si vuole tornare a crescere: e questo vale, naturalmente, anche per le attività legate allo spettacolo. Ma è di un’autentica riduzione delle imposte che c’è bisogno, e non già del «gioco delle tre tavolette» applicato alla giungla tributaria dei mille balzelli che ci opprimono. Perché se si riduce il prelievo sulle aziende e lo si aumenta sui consumatori (con ricadute negative, ad ogni modo, anche sulle imprese stesse), si è davvero capito ben poco della situazione in cui ci si trova.
L’economia italiana non cresce da anni e anni perché è soffocata da troppe tasse e troppe regole, da troppi dipendenti pubblici e troppe clientele: e questo vale nel settore cinematografico come, più in generale, in quello della cultura. Ciò di cui abbiamo bisogno, allora, non è un aumento delle imposte su chi va al cinema e quindi anche su chi vive di cinema (dalla produzione fino alle sale), ma di una coraggiosa riduzione del ruolo dello Stato nella nostra esistenza. Bisogna insomma smetterla di finanziare i circhi e i film che ne nessuno vedrà mai, i balletti e il teatro, intervenendo con più coraggio su quel Fondo unico dello spettacolo (Fus) che elargisce ogni anno circa 250 milioni di euro con criteri a dir poco discutibili. Grazie al ministro Bondi di recente qualche meritorio taglio delle spese è stato fatto, ma certo non basta. Oltre a ciò è urgente che si riduca il numero dei funzionari statali che si occupano, con risultati assai scadenti, di musei e aree archeologiche. L’apparato pubblico deve ritrarsi e lasciare spazio ai privati. Con questa riduzione del raggio d’azione dello Stato, le agevolazioni fiscali a favore delle aziende cinematografiche potrebbero essere finanziate senza mettere le mani nelle tasche dei cittadini. Avremmo una cultura più libera e di mercato, e meno parassiti «amici degli amici».


Va poi sottolineato che sarebbe davvero irresponsabile colpire un settore produttivo - quello del cinema italiano - proprio in questa fase, che da molti punti di vista è assai positiva. O qualcuno pensa che aumentare di un euro ogni biglietto, anche nelle serate promozionali e scontate, non deprimerà i risultati del botteghino?

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