Marisa de Moliner
Le emozioni aiutano a ragionare meglio. E il merito è tutto dellemisfero destro del cervello. Lo hanno scoperto i ricercatori del San Raffaele. Nella ricerca, appena pubblicata sulla rivista scientifica Human Brain Mapping, si è giunti alla conclusione che emozionarsi condiziona, eccome, il nostro pensiero, comera facilmente immaginabile, ma positivamente contrariamente alle ipotesi profane. Se pensando ci si deve collegare a fattori emotivi e relazioni interpersonali sottengono risultati migliori di quando si è impegnati a scervellarsi su asettiche astrazioni e calcoli matematici. Alle soluzioni dei problemi si perviene con maggior facilità quando si mettono in funzione entrambe le parti del cervello. La parte sinistra, ritenuta, sino a cinquantanni fa, dominante che, impegnata nel calcolo e in tutte le funzioni logiche, è stata denominata «principale». La destra, invece, è sempre stata deputata a «emozionarsi».
Ora a emozionarsi, per la loro scoperta cui sono arrivati in collaborazione con i colleghi dellUniversità di Parma e di quelli di Tucson in Arizona, tocca ai ricercatori del gruppo neuroscienze dellUniversità Vita e Salute del San Raffaele. Ma come ci sono arrivati? Con un test scientifico, per il quale è stato impiegato lo scanner della Risonanza Magnetica Nucleare. «Il test - spiegano i ricercatori - consiste nel mostrare al soggetto una sola faccia di quattro carte, ciascuna con una lettera su un lato e un numero sullaltro. Si stabilisce poi una legge che prevede che tutte le carte contraddistinte da una A abbiano il numero 2. A questo punto si chiede al soggetto di girare alcune carte per dimostrare se la legge sia vera o falsa». La diversità dello studio sta nel fatto che sono state impiegate due varianti del test. «Nella prima - precisano i ricercatori - sono stati mostrati oggetti astratti e nella seconda carte con frasi descrittive di situazioni tipiche di vita quotidiana. Il meccanismo era il medesimo del test tradizionale, ma i soggetti arrivavano più facilmente alla soluzione giusta». Come mai? «Ad aiutarli - spiegano i membri del gruppo di Neuroscienze del San Raffaele - il legame ad aspetti sociali».
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