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«Sono un fighter, sempre all’attacco»

Si è fatto tre mesi di ritiro in montagna, come i pugili vecchio stampo. E guarda all’America: «Hanno capito tutto. Là ogni cosa è spettacolo»

Luca Messi da Ponte San Pietro, 31 anni, testa dura e grande coraggio. Si sente un Mazzinghi dei nostri tempi?
«Mi hanno detto in tanti che il match con Piccirillo potrebbe essere una riedizione di Benvenuti-Mazzinghi. Io sono il fighter, l’attaccante. Lui il tecnico, lo schermidore. Però, se ci penso: quando cominciavo a fare la boxe, lui era già alle Olimpiadi di Barcellona 1992. Sembra uno di quei sogni che da bambino speri di realizzare».
Lei appartiene alla tribù dei pugili che non fanno mai un passo indietro?
«Sicuro. Sono Jake La Motta, un toro scatenato. Attacco perchè non posso fare diversamente. Sono sempre più basso degli avversari, devo accorciare la distanza. Anche stavolta. Sarà una corrida: io il toro, lui il torero. Tecnicamente, Piccirillo è uno dei migliori pugili degli ultimi 20 anni».
Nella sua boxe ci sono squarci d’antico, ma la gestione del personaggio è molto moderna. Un gruppo che la segue, pubblicizza ogni sua attività, partecipazione, idea. Compresa l’ultima: l’allenamento in piazza, a Bergamo...
«In piazza Vittorio Veneto c’era un caldo torrido, ma la gente è arrivata. Avrei voluto organizzare l’europeo a casa mia, avevo grandi idee in testa. Non è stato possibile ed allora c’era bisogno di far sapere, di trascinare il pubblico. Penso di essere un prodotto, ma bisogna saperlo vendere. Da noi abbiamo capito poco, negli Stati Uniti invece hanno capito tutto. Là qualunque cosa è spettacolo: dall’hockey al wrestling che è una grandissima scemata».
Perchè ha cominciato a far la boxe?
«Sono sempre stato molto esuberante, aggressivo, con la voglia di primeggiare, essere il più bravo, il più forte. Ho provato sport di squadra. Da solo ho più soddisfazione».
E la boxe gliene ha date? Due titoli italiani (welter e medi junior), quella sfida per il mondiale Wba che pareva impossibile ed invece persa ai punti, eppoi...
«Mi ha dato più di quanto pensavo. È uno specchio della vita dove trovi gioia e difficoltà, uno che ti applaude e uno che ti picchia, uno che ti aiuta ed uno che sbaglia con te. Ti insegna che, se sai soffrire, poi arrivi da qualche parte».
Ai pugni ha aggiunto lo studio...
«Vero, ma per il momento resta un progetto. L’anno scorso mi sono iscritto all’Università, ho fatto corsi di ammissione alla Cattolica di Milano per la laurea in scienze motorie. Però è impossibile seguire le lezioni ed allenarsi bene. Per ora continuo nella professione, quando smetterò tornerò ai libri».
Intanto c’è da conquistare l’europeo: preparazione da pugile antico?
«Certo, tre mesi in ritiro: al Pighett, un rifugio dove mangiavo e dormivo. Vede, nella vita vado da un eccesso all’altro. Magari, ora, passerò un mese a tirare le sei del mattino».
Ha già progetti dopo l’europeo?
«Comunque vada, tornerò a combattere negli Usa. La mia boxe da Rocky piace. C’è un progetto per il Columbus day ad Atlantic City: tanti pugili italo-americani sul ring.

Ed io fra loro».

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