Sono pazzi questi oligarchi russi

Sono pazzi  questi oligarchi russi

Gli estimatori di Mordecai Richler, Philip Roth, Woody Allen & company esultino. I seguaci del genio letterario ebraico mondial-diasporico pure: sta per arrivare - un po’ di pazienza, in autunno - una nuovo libro comme il faut in perfetto stile gogolian-nabokov-bulgakoviano con spruzzatine, qua e là, di genio kafkiano e saulbellowiano. Il tutto rivisitato da una penna di nuova generazione. Assolti questa volta i grondanti comunicati stampa che annunciano regolarmente l’opera «di uno degli scrittori più talentuosi, incredibili e promettenti che ci sia sulla faccia della terra ecc.»: diciamolo subito, il libro (Absurdistan) in dirittura di arrivo - e che per ora gli impazienti potranno leggere in versione inglese pubblicato da Random House - è davvero molto ma molto divertente.
L’autore si chiama Gary Shteyngart, è nato a Leningrado nel 1972 ed è emigrato negli Stati Uniti con la sua famiglia all’età di sette anni. Jewish, of course... Qualcuno forse già lo conosce per il suo romanzo Il manuale del debuttante russo (Mondadori, tradotto da K. Bagnoli, pagg. 453, euro 18), che lo ha consacrato niente male nell’olimpo dello star system cartapennaio. Shteyngart, per intenderci, è uno di quelli che gioca con la satira e l’ironia, abilissimo nel gigioneggiare con il dramma attuale e mondiale senza tuttavia prender niente e nessuno, in apparenza, sul serio (sesso, amore, morte, immigrazione, identità, religione, circoncisioni, multinazionali, petrolio, faccendieri, criminali, puttane, vittime e aguzzini...). Il tutto per giungere a una condivisibilissima morale: il mondo, Russia, ex Stati «soviet» e Usa in primis, è un vero casino. (L’Europa, marginale nel libro, è quel che in realtà è: inesistente).
La trama senza svelar troppo: Misha Vainberg è un giovanotto ricchissimo e sovrappeso con la passione per il cibo, l’alcol, la musica e New York, la città che ha dovuto lasciare per ragioni legate al comportamento violento del padre, un oligarca che occupa la milleduecentotrentottesima posizione nella classifica dei paperoni russi (gli oligarchi mafiosetti che nella libreria di casa impilano libri tipo «Le regole bancarie delle isole Cayman in tre volumi» o «Cento e una vacanze fiscali»). Il giovanotto - dotato di materia grigia e di un humor sottile - approda così a «San Leningrado» per poi essere catapultato dopo vicissitudini varie nell’Absurdistan, staterello che è tutto un programma e che la dice lunga su certe bizzarrie del mondo ex sovietico. Mentre sta cercando di procurarsi un passaporto belga (mannaggia la globalizzazione e ‘sti stramaledetti permessi di soggiorno!), nella piccola nazione scoppia una guerra civile tra etnie (con disappunto, presumiamo noi, dell’irrequieto Putin). Il protagonista si trova così a dover affrontare la realtà in cui gli tocca diventare ministro degli Affari interculturali...
Ecco alcuni assaggi:
A proposito dell’Amato Babbo: «Nel 1990 decise che per diventare un normale ricco americano il suo unico figlio doveva studiare all’Accidental College, situato nel profondo interno del paese e al sicuro dalle distrazioni gay... A quel tempo lui si dilettava soltanto di oligarchia criminale - le circostanze non erano ancora favorevoli al saccheggio all’ingrosso del Paese - e comunque aveva fatto il suo primo milione con una concessionaria d’auto di Leningrado che vendeva molte cose spregevoli, ma per fortuna non automobili».
E sempre a proposito dell’Amato Babbo: «A metà degli anni Ottanta mio padre era stato condannato a due anni di reclusione per le sue attività di dissidente sionista (soprattutto per aver rapito il barboncino antisemita del nostro vicino di casa e poi avergli pisciato addosso davanti alla sede di Leningrado del Kgb \. In carcere contrabbandò copie di “Penthouse”, ne incollò gli inserti centrali sulla schiena di un detenuto consenziente che aveva fianchi da ragazza e lo noleggiò a ore».
A proposito di incontri etnici tra identità e cibo: «Spesso durante la pausa pranzo mi piaceva mangiare un paio di panini con pollo alla parmigiana e melanzana e quattro litri di dolce caramellato in un bar di Nassau Street, zona Manhattan. “Sei ebrea?”. “No - rispose lei - ma ho degli amici”. “Che cosa sei allora?”. “Mezzo portoricana. E mezzo tedesca. E mezzo messicana e irlandese. Però sono cresciuta come domenicana”. “Cattolica allora”. “Eravamo cattolici, poi sono arrivati i metodisti che ci hanno dato da mangiare... Così eravamo... insomma, adesso siamo metodisti”».
A proposito della fidanzata Usa ospite in Russia: «“Non ho fatto la strada fin qui, in questa Russia sclerata, per guardare dei quadri oleosi”. Eravamo all’Ermitage, davanti al Boulevard Montparnasse in un pomeriggio assolato di Pissarro. \ Nel suo intimo era meno turista e più attenta agli aspetti economici e antropologici. “Dove sono i negri?” Dedussi che si riferiva a persone di mezzi modesti. “Sono dappertutto”».
A proposito di antisemitismo in Russia: «L’arrogante sole del nord aveva raggiunto la tacca del mezzogiorno e faceva del suo meglio per infiammare i nostri zucchetti. In Russia anche il sole mostra una chiara predisposizione antisemita».
A proposito di lapidi: «Avevano aperto un cimitero per i Nuovi Ebrei Russi, famoso per le lapidi firmate con l’ultimo modello S della Mercedes sovrapposto a una specie di menorah balistica».
A proposito di minoranze: «In qualità di ministro del Multiculturalismo mi occuperei delle relazioni fra minoranze. Unirei i diversi popoli che vivono in Absurdistan. E insieme organizzeremmo festival e conferenze quasi ogni giorno. Celebreremmo le nostre identità. Farebbe un’ottima impressione agli occhi del mondo. Sarei un raccordatore».


A proposito di alcuni Malvagi Russi: «Sono andati insieme all’accademia di scacchi. Possiedono proprietà attigue sul lago di Como. Le loro mogli vanno dallo stesso pedicure e i figli frequentano lo stesso collegio svizzero».
m.gersony@tin.it

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