Michele Anselmi
da Roma
Simbolicamente è come se la famiglia Mancuso, dignitosa e fiera, sbarcasse una seconda volta in America: stavolta dalla porta dorata di Hollywood, senza doversi sottoporre a umilianti test psico-fisici negli stanzoni di Ellis Island. Come anticipato dal Giornale, sarà Nuovomondo a rappresentare l'Italia nella corsa all'Oscar per la categoria «miglior film straniero». Se poi entrerà nella cinquina, lo sapremo il 23 gennaio. Designato ieri mattina dalla commissione mista produttori/cineasti/critici, con 13 voti su 15, il film di Emanuele Crialese non ha praticamente avuto rivali nel confronto con gli altri sette titoli, anzi sei: poiché, al ritiro volontario di La stella che non c'è s'è aggiunto in extremis, suggerito dai commissari per evitare contenziosi, quello di Romanzo criminale (questioni procedurali legate alla data di uscita, il 30 settembre del 2005, tali da ipotizzare un conflitto col contraddittorio regolamento dell'Academy).
Crialese, 41 anni, tre film, romano di origini siciliane, un apprendistato newyorkese e un presente parigino, un po' se l'aspettava. Tutti lo davano favorito, non solo per il tema affrontato, l'immigrazione in America ai primi del Novecento; tanto più dopo lo speciale Leone d'argento conquistato al Lido. Eppure... «Sono sbalordito, intontito, felice. La notte scorsa non ho chiuso occhio per l'agitazione: mi crede?».
Certo che le crediamo.
«Dirò di più. Ieri, domenica, ero così agitato che ho passato tutto il giorno al lago di Martignano, vicino Roma. Uno dei miei attori, Francesco Casisa, doveva prepararsi per un provino, una fiction tv. Così l'ho aiutato a ripassare la parte, nella speranza di distrarmi».
C'è riuscito?
«Francamente no. L'attesa snerva. Si metta nei miei panni. Ho fatto solo tre film, non credo di essere famoso, gareggiavo con maestri del calibro di Amelio, Moretti, Placido, De Seta. All'improvviso mi ritrovo sulle spalle tutta questa responsabilità. Mi sento al settimo cielo e insieme preoccupato, comunque consapevole di una cosa: hanno scelto il mio film non perché sia necessariamente il più bello, ma perché può funzionare meglio».
Il meglio, o il peggio, arriva adesso.
«E già. Domani sera porto Nuovomondo alla rassegna Italian Style, in corso a Los Angeles. Sarà il primo test vero col pubblico statunitense. Poi bisognerà trovare un distributore per quel mercato. Certo, al festival di Toronto è andata bene, ma sono canadesi: infatti si sono sganasciati dalle risate di fronte ai test mentali e attitudinali che mostro nel film. Tutte cose vere, intendiamoci. Gli americani potrebbero prenderla diversamente. O forse no. In fondo, parlando dei Mancuso, parlo dei loro antenati».
Esattamente come Bruce Springsteen quando canta American Land.
«Sì. Siamo tutti un po' immigrati. Lui è per metà irlandese e per metà italiano».
I suoi amici newyorkesi hanno visto il film?
«Loro sì. L'hanno trovato un po' lento nel primo quadro. Poi si sono fatti conquistare dal viaggio in piroscafo e dall'arrivo a Ellis Island. Ma sono amici, appunto. La verità è che tutto il film è una pazzia creata da un gruppo di amici. Siamo riusciti a mettere insieme quasi 14 milioni di euro per un'impresa titanica che non sfodera neanche una star, con l'eccezione di Charlotte Gainsbourg, peraltro famosa solo in Francia. Un'odissea, mi creda».
Dica la verità: si aspettava qualcosa di più dal botteghino? «Onestamente sì. Siamo a quota 720mila euro, dopo dieci giorni. Ma la media per sala è buona, i ragazzi di Raicinema-01 sono bravi, si inventeranno di sicuro qualcosa. Intanto stanno aumentandole copie: da 100 siamo passati a 110».
Timore dei film stranieri concorrenti?
«È un anno che non vado al cinema. Ho visto solo Volver di Almodóvar. Diciamo che sono stato completamente assorbito dal mio film.
Perché s'è fatto crescere la barba?
«Per scaramanzia. Non mi rado da Venezia. Ma stasera la taglio, giuro».
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