«Sono una ragazza normale, non un’auto da corsa»

Caster Semenya finalmente tira fuori un sorriso quando parla di orecchini, anelli e dolcezze assortite per una donna. Porta due brillantini, quasi invisibili, ai lobi, un anello a fascetta alla mano sinistra e un braccialetto afro al polso destro. «Mi piacciono le cose semplici, non vistose. E soprattutto mi piacciono le scarpe italiane». Beh, molto femminile come risposta. Che ne dite?
Certo, la voce è un po’ cavernosa, quasi rugginosa. Ma l’anno scorso a Berlino forse era peggio. Il fisico è da wonder woman, che poi uno la scambi per un maschietto, è problema di altro tipo. Ci sono donne (accertate) che invidierebbero la sua femminilità.
Ieri Caster sedeva nella maestosa cornice di palazzo Marino a Milano. Letizia Moratti, il sindaco, si è fatta fotografare insieme a lei e non le ha negato un sorriso che pareva di solidarietà per tutte le sue tribolazioni (umane prima ancora che sportive). Poi, giovedì prossimo, la rivedrà in pista, nella Notturna dell’Arena che anche quest’anno ha preso forma, con tanto di pedigrèe parecchio rispettabile (corre Caster, ma pure Howe nei 200 m., la freccia francese Christophe Le Maitre nei 100 m., Oscar Pistorius, 26 medaglie fra mondiali e olimpici).
Belle promesse per gli amanti. Una chicca per i guardoni. Caster sa di esser materia per curiosi, scienziati e affini. Ma se si spoglia (magari stupirebbe) dell’abito da donna cannone, continua ad esser una ragazzina, nemmeno ventenne, con uno sguardo che diventa un intruglio di melanconia e curiosità, che sorride per cose semplici. Racconta: mi piace il calcio. Anzi, lo ha giocato: da attaccante, poi da difensore. Dunque... «Conosco Milan e Inter, le squadre di Milano». Ama la boxe. Lo sport che vorrebbe provare dopo l’atletica. Ogni tanto si mette in posa e sogna di sfidare Laila Alì.
Ma ora sa che deve correre: lontano. E se qualche volta batte in testa, come le è capitato qualche giorno fa a Rovereto, arrivando nelle retrovie, ricorda gli ultimi suoi undici mesi: fra scandali e accuse d’essere ermafrodita. «Sono rimasta ferma: una lunga pausa. Magari non me la sono passata male: sono stata con la famiglia, gli amici, però non sono come un’auto: metti la benzina e vai. Serve che vada a posto il fisico». Milano sarà l’ultima tappa di allenamento prima dei Giochi del Commonwealth. Voleva 10mila euro. Si è accontentata di 7mila, perché non ha regalato l’esclusiva italiana alla Notturna. Praticamente si è autoridotta l’ingaggio.
Suo malgrado è (diventata) un personaggio che tira, traina, che poi corra è solo incidentale. Peccato, perché ha la faccia di quella che farà gare da record. Quando tornerà nella sua normalità. Obbietta. «Penso di esserci già tornata. Alzo le spalle e vado avanti. Non mi importa più di quel che dicono gli altri. Quello che è stato, è stato. Penso solo a correre e vincere. Ho almeno tre obbiettivi: giochi del Commonwealth, mondiali e olimpiadi». Dici niente!
Ma qui non sembra di ascoltare la voce rugginosa che ha scatenato un putiferio. No, qui parla la ragazzina dai sogni che non ti possono abbandonare mai. Soprattutto se sei nata in un villaggio quasi sperduto del Sudafrica. Si chiama Polokwane, il suo posto delle fragole. E Caster ci tornerà sempre. «Mi piace girare il mondo, ma non ho tempo per guardarmi intorno: devo stare concentrata su corse e allenamenti. Da bambina dicevo ai miei genitori: vorrei andare negli Stati Uniti. Dovrei farlo da turista.

A proposito, è la prima volta che vengo in Italia. Ma ci tornerò. Anche perché la pasta è proprio buona». Le scappa ancora il sorriso.
Caster uomo o donna? No, per ora ragazza. Dice lei: «Dio mi ha fatta così». Con la voce un po’ così.

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