Noi, lettori del Giornale

Sopravvissuto ai gulag e soldato nel cuore: "Sempre col Giornale fin dal primo numero"

Per quasi 4 anni prigioniero dei lager comunisti ha sconfitto il tifo e il Covid: «Conservo ancora in casa la prima copia del 1974 e non mi sono mai perso un numero. Quanto ho amato Montanelli»

Sopravvissuto ai gulag e soldato nel cuore: "Sempre col Giornale fin dal primo numero"

S ono le sette e mezza del mattino e come ogni giorno Giuseppe Bassi riceve il suo Giornale. Glielo portano a casa ogni mattina, così da poter fare colazione leggendo la prima pagina e via via le altre. Giuseppe Bassi dalla sua casa di Villanova di Camposampiero, nel padovano, si alza, va in cucina, giornale in mano e beve latte e Nesquik con otto biscotti sbriciolati dentro. Ha 102 anni, compiuti il 3 febbraio scorso. In casa c'è anche la sua nipotina, Benedetta, che il 2 febbraio invece di anni ne ha fatti due. Nello stesso metro quadrato ci sono cent'anni e un giorno di differenza. La vita che scorre, la linfa che si tramanda, sono una il prolungamento dell'altro. Giuseppe Bassi è un lettore del Giornale dal primo numero. Da quel 25 giugno 1974, da quando partì questa nostra storia, che è la vostra. È uno degli ultimi deportati dei gulag sovietici. In Russia ha patito le pene dell'inferno: 42 mesi di prigionia dal 24 dicembre 1942 al 7 luglio 1946 passando per i campi di Tambov, Oranki, Suzdal, Vladimir, Odessa e San Valentino. Si salvò grazie a un anello. Famose le sue cartine di sigarette dove lui, geometra, disegnava i particolari degli ambienti, delle chiese, dei campi, delle fosse. Grazie a questi disegni, ora conservati nel museo del campo di Suzdal, fu possibile ritrovare alcune fossi comuni.

Abbiamo appuntamento con Giuseppe su Skype alle 15.30, è in casa con il figlio Carlo e attende la chiamata. L'ultima volta che l'abbiamo visto ci ha accolto sull'uscio di casa trotterellante energico e grintoso che a vederlo sembra abbia vent'anni di meno. Ora per ragioni legate al virus, la nostra chiacchierata avviene su uno schermo ma lui è lì, sorridente, energico come al solito. «Leggo il Giornale dal primo numero ci racconta e lo conservo ancora in casa. Quel giorno ho deciso di comprare il Giornale e da allora non l'ho più lasciato. Ero un ammiratore di Montanelli e per me il Giornale era ed è il massimo. Indro è la figura classica del giornalista con la «G» maiuscola, anticonformista e anticomunista: non mi perdevo mai un suo articolo». Lo sa bene Bassi cosa gli hanno fatto i comunisti. Rinchiuso dentro i gulag russi, nel campo accanto al suo, il campo di Crinovaia, ci furono anche episodi di cannibalismo. «C'era una grandiosa ex caserma della cavalleria dello Zar e in questi capannoni sono finiti circa 30 mila prigionieri del Corpo d'Armata Alpino racconta - Si sono trovati alla mercé di soldati russi crudeli e fanatici: per mangiare andavano alla ricerca di polmoni, fegato, parti del corpo che si potessero cuocere con facilità». Oltre a ritmi disumani. «La vita nel campo di concentramento era terribile: un tè caldo al mattino, un pezzetto di burro e 300 grammi di pane. A mezzogiorno zuppa e cassia: una polentina di miglio, avena, orzo, grano e mais. E durante il giorno si lavorava con turni massacranti e metodi disumani».

Quando uscì per la prima volta il Giornale per Giuseppe Bassi fu come ritrovarsi tra le mani una bandiera di libertà. «Anche quando sono andato in vacanza all'estero ci racconta il Giornale l'ho sempre comprato. Se c'erano edicole che vendevano giornali stranieri lo trovavo lì, ma dicevo comunque al mio giornalaio di fiducia di tenermi da parte le copie. Non ho mai perso un numero. Se non c'era qui nell'edicola del paese, andavo a prenderlo a Padova». Giuseppe legge anche i giornali locali e butta l'occhio, ma solo se capita, anche ad altri quotidiani: «Ma per me il Giornale è completo sotto tutti i punti di vista. Anche da quello sportivo. Sa, io sono amante dello sport...». E si vede. Fisico prestante per i suoi 102 anni, scatta sul divano che nemmeno te ne accorgi. Ma il Covid come l'ha vissuto? «La pandemia? Ho superato il tifo in Russia. Sono uno dei sette che non ha mai avuto bisogno delle cure nel campo di concentramento. Cent'anni per me sono passati così».

Per tutto quello che ha sofferto e per quello che rappresenta, lo Stato, le ha mai dato qualche riconoscimento? Sorride amaro: «Mai niente». Ci salutiamo. Lo schermo si spegne. Domani mattina Giuseppe sarà ancora lì, sull'uscio di casa, con il suo Giornale in mano.

For ever young.

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