nostro inviato a Washington
«È la peggiore crisi che ho visto in vita mia, e non ne vedrò altre simili». L’hanno pensato in tanti, nel corso delle ultime giornate di passione, ma se a dirlo è una vecchia volpe del mercato come George Soros, allora ci dev’essere del vero. Il finanziere d’origine ungherese che nel ’92 mise al tappeto la sterline e la lira, guadagnando cifre favolose (si parlò di oltre un miliardo di dollari dopo una vendita allo scoperto di sterline per un controvalore di dieci miliardi di dollari), e che nel ’97 fu accusato di aver aggravato la crisi asiatica, oggi ha cambiato pelle: crede ancora nel mercato, ma anche nei regolamenti. E se afferma che la crisi finanziaria di questi giorni è la peggiore, c’è da credergli. Vorremmo anche credergli quando dice che «forse il picco negativo della crisi è stato già toccato venerdì scorso», e che dopo «la risposta positiva in Europa e, spero, anche negli Usa, si intravede una situazione costruttiva».
Il settantottenne finanziere, nato a Budapest ma cresciuto ed arricchitosi negli Stati Uniti, è generoso con l’Europa e critico verso l’amministrazione americana. In generale, osserva che le autorità sono state «più o meno reattive, ma non proattive», insomma non hanno previsto nulla e si sono limitate ad intervenire a crisi in corso.
Sul fronte americano, distingue tra il comportamento della Federal Reserve e quello del Tesoro. «Bernanke - spiega - è stato un po’ lento ad uscire dall’accademia e confrontarsi con la realtà, ma è stato poi molto aggressivo nel ridurre i tassi lo scorso gennaio». L’amministrazione, invece, ha colpe gravi. Per l’Europa Soros ha solo parole di lode: «Ci vorrà qualche giorno perché le misure prese siano operative, a causa delle diverse cornici legislative dei vari Paesi. Ma le decisioni vanno nella direzione giusta, e ciò che è stato fatto in queste ore rafforza l’euro come istituzione».
L’anziano finanziere non rinnega il mercato, tutt’altro. Però ricorda che questa crisi è stata originata dal sistema finanziario stesso, dunque è endogena e frutto di distorsioni nel rapporto tra i fondamentali economici e i mercati. Si pensava che il mercato stesso avrebbe frenato i propri eccessi, «ma non è stato così: è il fallimento di una teoria che ha preso il via con Ronald Reagan e Margaret Thatcher, la globalizzazione, la deregolamentazione, l’ingegneria finanziaria». Tuttavia Soros non si sente di mettere gli hedge fund sul banco degli imputati. «Sono stati criticati molto, è vero, ma adesso - osserva - sono decimati, hanno perso molti dei loro clienti, insomma stanno pagando duramente il prezzo della crisi. Devono essere meglio regolati, ma le misure messe in atto dalle autorità americane, come lo stop alle vendite allo scoperto (lo shortselling), è stato inutilmente punitivo, e controproducente. L’hedge fund è un business legittimo e salutare, deve essere meglio regolato, non punito».
Un’ultima raccomandazione alla Fed, perché non parli neppure di aumento dei tassi con un’inflazione che sta cessando di rappresentare un problema, poi l’uomo che distrusse la Banca d’Inghilterra lascia la saletta che il Fmi gli ha messo a disposizione e saluta i giornalisti, invitandoli a leggere il suo ultimo libro.
Vedendolo andar via, non si può non pensare a quell’annus horribilis che fu il ’92, a quel terribile mercoledì 16 settembre in cui la lira e la sterlina sotto attacco furono costrette ad uscire dal Sistema monetario europeo e alle conseguenze di tutto ciò, compresa la manovra da quasi centomila miliardi di lire varata dal governo Amato. Per l’Italia ne derivò una recessione. Chissà se George Soros se lo ricorda.
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