Sorpresa, agli italiani piace traslocare

Non è solo il fare e disfare scatoloni. Ma c’è anche quello, eccome. È uno stato fisico e mentale, è ciò che alcuni definirebbero un’esperienza «olistica»: il trasloco riesce in effetti a devastare il corpo e l’anima, in perfetta e beffarda sintesi aristotelica. Altro che yoga. Lo stress sfiora livelli esasperati, l’equilibrio familiare si spinge ben oltre il rischio: la scritta «fragile» sulle scatole, è ovvio, non si riferisce al contenuto, ma al proprietario. Il vero problema non è la precarietà dei bicchieri di cristallo, non è che avevi finito la carta di giornale e, quindi, hai dovuto avvolgere i piatti della prozia nella velina; non è nemmeno che tutta quella roba, davvero, è impossibile che fosse stipata in una casa, una soltanto. Questi sono soltanto dettagli, è lo scenario a essere un incubo, indistinto come la filosofia di Schelling secondo Hegel (e davvero, quando sei in pieno trasloco, la sensazione è di stare proprio in quella fatidica nottataccia in cui tutte le vacche sono nere, e non solo loro).
Gli scatoloni sono un tormento a cui la maggior parte delle persone tenta di sfuggire, spesso inutilmente. Il trasloco ormai è entrato nel dna degli italiani: sarà che è il secolo della flessibilità, ma anche i numeri dicono che da nord a sud ci si sposta, si cambia appartamento, si muovono pacchi, sacchi, letti, armadi, scrivanie, frigoriferi, tonnellate di abiti e scarpe e libri, sempre più di frequente, sempre più a cuor leggero. Un quarto degli italiani trasloca più di quattro volte, il tredici per cento lo fa anche sei o più volte. Come fossimo diventati americani, come i dipendenti di Lehman Brothers che una mattina di settembre del 2008 hanno infilato vita, carriera, stipendio e futuro in uno scatolone, hanno varcato le porte a vetro della loro sede e si sono trasferiti in un mondo nuovo: quello del grande crac. Ma senza troppi drammi, senza il termos col pasto caldo, senza rimuginare sui metri quadri persi e quelli guadagnati, il panorama vecchio e quello nuovo: l’America è mobile, l’Italia lo era sempre stata un po’ meno.
Ora però un sondaggio (condotto dal sito Immobiliare.it) dice che la realtà è diversa, in media ogni italiano cambia casa 2,5 volte nella vita, ma in alcune regioni, come l’Umbria, quasi uno su tre fa più di cinque traslochi. E si muovono tanto anche gli abitanti dell’Emilia Romagna, del Friuli Venezia Giulia e delle Marche. Ci si sposta meno al Sud: i più sedentari sono pugliesi e campani (appena due spostamenti in media), ma il record di passione casalinga appartiene alla Calabria, dove il quarantadue per cento confessa di non avere mai nemmeno lasciato la casa in cui è nato. Senza sapere, forse, che logisticamente sarebbe oltretutto il trasloco più semplice di tutti: perché si possiedono meno mobili, e perché c’è la possibilità di lasciare qualcosa come souvenir per mamma e papà.
Il mistero, comunque, non è tanto che gli italiani abbiano imparato a spostarsi senza troppe remore, ma come lo facciano: considerato che quando una famiglia va in vacanza una settimana in albergo tutto compreso si porta almeno quattro valigie e cinque o sei borse, oltre a lettiera per il gatto, culla per il bambino, gommone gonfiabile e attrezzatura per lo snorkeling (anche in Liguria), come può avvenire il trasferimento totale dei beni? Scartato a malincuore il tentativo di trasformarsi in una lumaca, la maggior parte (il cinquantatre per cento) si affida all’aiuto di parenti e amici, salvo poi pentirsi nel quarantasette per cento dei casi: niente è più stressante di un trasloco, che gestirselo da soli.

E infatti chi si rivolge agli specialisti sopravvive un po’ più facilmente, anche se si spendono almeno mille e seicento euro. Per alcuni sono troppi, per altri sono una salvezza, l’unica ancora a cui appigliarsi, l’unico senso ritrovato nel caos di una casa che si sposta, tutta intera.

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