La volta che Apple rischiò di morire era tutta una questione di filosofia tra un ex venditore di Pepsi Cola e uno che voleva cambiare il mondo. Il primo, John Sculley, non aveva idee completamente sbagliate, tanto che predisse che un giorno sarebbe arrivata una cosa che non sapeva ancora sarebbe poi diventata internet. Ma siccome pensava pure che in un ventennio i russi avrebbero conquistato Marte, e soprattutto che i computer fossero tutti uguali (bastava solo cambiare loro il nome), ecco perché di lui ora si sa poco o nulla.
Quasi trent’anni dopo invece, l’Altro, l’uomo che con Apple già allora voleva riscrivere il futuro, arriva come un’ombra il giorno in cui la sua azienda sforna l’ennesimo oggetto del desiderio. E c’è veramente, sul palco dell’YBCA Theater di San Francisco ritrasmesso alla Bbc di Londra, per un colpo di scena che fa scorrere un brivido lungo la schiena. Perché Steve Jobs ha vinto un’altra volta, e ha vinto anche contro il gossip e contro chi lo aveva già mandato all’altro mondo: «Abbiamo lavorato tanto, non potevo proprio mancare». È l’unica concessione ai pettegolezzi, mentre tutti scattano in piedi. Lo show può continuare. Anzi deve.
Ecco allora, Steve è sempre lì, meglio ancora dell’ultima volta che si era visto dal vivo – quella volta però molto meno vivo – e sempre il solito, un gigante smagrito dentro il solito look nero-jeans che ormai fa fatica a stargli addosso. Però più di sempre è il solito Jobs, geniale, magico, implacabile. E dunque il protagonista diventa lui, più della sua nuova creatura, anch’essa vittima del gossip che ne ha anticipato da tempo sui blog di tutto il mondo le sue nuove caratteristiche: perché l’iPad2 è davvero più sottile, più leggero, più veloce, più bello, ha le due fotocamere ed è anche bianco, come volevano gli adepti del mondo di Apple. Si sapeva già tutto. Quel che non si sapeva è che sarebbe stato ancora Steve a snocciolarne i numeri del successo - 15 milioni di iPad venduti in soli 9 mesi, 9 miliardi e mezzo di dollari guadagnati e i concorrenti flummoxed, sconcertati -, prima di aggiungere: «Il 2010 è stato l’anno dell’iPad. Magico e rivoluzionario? Chiedete ai nostri competitor… Nel 2011 tutti produrranno tablet e sarà l’anno dei copycats, dei copioni. Ma alla fine sarà l’anno dell’iPad2». Domanda: questo sarebbe un morto che cammina?
Insomma, più dell’Ipad2 – di cui Steve Jobs ci spiega il perché tutti noi già lo vogliamo (perché noi già lo vogliamo) – il giorno in cui Apple poteva morire di nuovo ha invece consacrato il fatto che nell’era di internet niente è davvero come sembra e soprattutto come viene raccontato. Ovvero Jobs quasi all’inferno (e dove, se no?), il suo braccio destro operativo – Jonathan Ive, il genio che ha disegnato gli ultimi dieci anni di successo – pronto all’addio per tornare nella sua casa inglese nel Somerset con un bagaglio di 121 milioni di dollari di liquidazione, l’azienda che a questo punto non saprebbe cosa fare: rumors, probabilmente invenzioni. Che non sono le invenzioni di Apple, di Jonathan, di Steve, quelle che alla fine hanno davvero conquistato il mondo e che non hanno ancora un traguardo: «Ringraziamo tutte le persone che hanno lavorato per questo nuovo iPad e tutte le nostre famiglie. Siamo una famiglia allargata, senza non potremmo essere qui» dice Jobs alla fine con una punta – l’unica – di commozione. Prima di annunciare: «Siamo nell’era del post-pc».
E dunque, alla fine, l’unica verità per ora è che il futuro è adesso, così come spiega la celebre frase del Fondatore finita (non per caso) nella versione del nuovo sistema operativo Mac già consegnata ai tester di tutto il mondo, il Lion: «Non chiederti cosa vuole la gente da te, perché una volta che gliel’hai dato loro ti chiederanno subito qualcosa di meglio». Si chiama Think different, pensa differente, e ieri si è avuta la conferma che non è un epitaffio. È una filosofia.
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