Sorpresa, una femminista difende Strauss-Kahn

Dominique Strauss-Kahn, l’ex direttore del Fondo monetario internazionale arrestato a New York nel maggio dello scorso anno con l’accusa di tentata violenza sessuale (e successivamente coinvolto, in Francia, in un giro di prostitute) non è mai stato simpatico. È stato un uomo charmant, di quello charme impastato di buona educazione, di buone letture e ottimi studi che spesso preludono a una carriera dove ricchezza e potere vanno a braccetto. Simpatico, però, non tanto. E forse fu questo, unitamente a quel suo sorriso protervo, da uomo che non doveva chiedere mai, a perderlo.
Prima di rovinare nella polvere Dsk, oggi sessantatreenne, incarnava quel genere di potere che induce chi ne è posseduto a ritenere che tutto si possa ottenere. A cominciare dalle donne, che dal potere e dalla ricchezza sono a loro volta attratte come le tarme da un pacchetto di farina dimenticato aperto. Questa, ma moltiplicata per mille, fu la vulgata imposta sul tamburo dai media americani che lo descrissero come un mostro, un vecchio sporcaccione, un cavernicolo, una bestia insaziabile e violenta. Erano vere, le accuse mosse al potente direttore del Fmi? O erano false? Negli Usa il processo penale nato dalle accuse della cameriera del Sofitel si sgonfiò come un soufflé. Ma le femministe (ce ne sono ancora, ahimè, anche se l’articolo è agli sgoccioli) si erano già avventate sulla preda come avvoltoi su una carogna. E la presunzione d’innocenza? Andiamo... argomentarono le ragazze, decise a vendicare la povera cameriera (risultata poi una bugiarda della più bell’acqua, capace di impilare una serie catastrofica di menzogne). Ci sono casi in cui chi si appella tartufescamente al garantismo, proclamarono stentoreamente le femministe francesi, fa il gioco del giaguaro, sposando le tesi di una giustizia classista e sessista.
Ora, a un anno da quella vicenda americana (Strauss Khan trascinato come un mafioso davanti ai flash dei fotografi e alle telecamere, una carriera politica in frantumi) e alla vigilia di elezioni presidenziali in cui proprio lui sarebbe stato l’antagonista di Sarkozy, esce sul caso un pamphlet controcorrente. S’intitola Una società di stupratori? (Medusa, pagg. 104, euro 11), e a scriverlo è stata Marcela Iacub, giurista e voce controcorrente del femminismo d’Oltralpe. La tesi - e che sia proprio una femminista, ancorché «eretica», a sostenerla fa onore all’autrice - è quella che lei stessa sintetizza così: «Ciò che il femminismo radicale cerca è che il disgusto, la colpa, il disprezzo del sesso, lungi dallo sparire, ricadano sulle spalle degli uomini, come un tempo su quello delle donne. La teoria del dominio sessista è, come lo sono state in passato le buone maniere e la morale bigotta, la giustificazione “razionale” della sopravvivenza di questo orrore».
Al centro della tesi femminista, smascherata senza pietà da una che viene proprio da quel mondo ideologicamente non meno protervo del simbolo maschile che si intendeva abbattere, c’è la questione del consenso.

Consenso inesistente, a giudizio delle femministe, giacché la soggezione esercitata da un uomo potente toglie libertà al consenso. Dopo di che, come è naturale, ci vuol niente a far passare un rapporto sessuale per uno stupro.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica