Roma - «Di fronte a queste cose, non ci si può girare dall’altra parte», afferma con forza Isabella, giovane americana in attesa del bambino d’un padre scomparso nel nulla. E non per vigliaccheria, ma perché suo marito, l’ingegnere chimico Anwar El-Ibrahimi, sospettato di terrorismo, probabilmente è torturato da qualche parte, in nome della sicurezza del popolo Usa. Lei è la nuova stella di Hollywood Reese Witherspoon, ieri alla Festa in grande spolvero, dopo che il pubblico ha cominciato a conoscerla con Quando l’amore brucia l’anima, film romantico, per lei portatore di Oscar nel 2006.
Lui, lo sposo egiziano, è Omar Metwally, interprete che sparisce su un volo diretto a Washington, dal Sudafrica, dando origine al vigoroso thriller politico Rendition (vuol dire «consegna», però non di pacchi), firmato dal premio Oscar sudafricano Gavin Hood ora sugli scudi per questa bella prova d’autore. Applausi a scena aperta e molti occhi attenti, ieri hanno sottolineato il gradimento degli spettatori di questa tesa commedia, tra privato e politico, alla quale ha recato il suo notevole apporto Jake Gyllenhaal, nel ruolo dell’agente Cia Douglas Freeman, qui alla sua prima scena di tortura sul grande schermo. Certo, la questione delle sinistre «consegne straordinarie» effettuate nell’America dell’era Clinton, quando si deportavano, per torturarli meglio, i terroristi veri e presunti, in Paesi amici, al solo fine di agire indisturbati, lontani dal controllo internazionale, è venuta fuori molto nettamente. A riprova del fatto che il cinema americano sa affrontare con polso le sue tragedie di Stato (oggi, nello stesso filone s’inserirà l’atteso film di Robert Redford Leoni per agnelli).
Deliziosa, nel suo tubino grigio ferro e i capelli biondi, lisci, da brava ragazza (ma i pettegoli di Cinelandia sostengono sia una mangiauomini con l’aria da santarellina), la Witherspoon non è solo una bambola, già reginetta della commedia. Per dirne una, appena separata dal marito Ryan Philippe, (assoldando, per farlo, il celebre avvocato dei ricchi Robert Kaufmann) ha acquistato i diritti di Under the Bridge, romanzo di Rebecca Godfrey, con al centro la strana uccisione d’una studentessa, da parte dei suoi stessi compagni di corso. Del resto, la Reese ha una casa di produzione, la Type A Films, con cui realizza piccoli progetti indipendenti. «Avevo letto qualcosa, sui giornali, a proposito del sequestro Abu Mazen e delle strane sparizioni di cittadini musulmani, in odore di terrorismo, ma soltanto studiando la sceneggiatura di Ketley Sane ho capito la portata del fenomeno. E adesso posso affermare di conoscere ogni aspetto di questo grosso problema politico, che ha finito con l’appassionarmi. Dopo aver compreso, grazie al personaggio di Isabella, che cosa significhi, realmente, essere legati a un musulmano, vivendo negli Stati Uniti, non mi permetterò mai più d’essere intollerante», riflette la star, il cui ruolo, inizialmente, sembrava dovesse toccare a Cate Blanchett. Alle prese con le torture, ma dalla parte dei sadici, troviamo anche Meryl Streep, qui nei panni dell’ufficiale di ferro, che ordina l’estradizione clandestina: inevitabilmente, la sua parte da cattiva rimanda a quella di The Manchurian Candidate.
«Anche a me è capitato di sentire, con maggiore partecipazione, questo problema, dopo aver interpretato il film», sostiene Gyllenhaal, l’aria elegantemente stazzonata del tombeur de femmes. «Per prepararmi, ho passato ore a parlare con i responsabili delle organizzazioni per i diritti civili. E anche con avvocati, i cui clienti hanno vissuto esperienze simili a quelle del film».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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