Sorpresa, Hornby fa il paroliere di Ben Folds

Il romanziere di Alta fedeltà ha scritto 12 testi, l’artista li interpreta: a settembre il cd Lonely Avenue. È già una coppia cult (che fa bene alla musica). E, tra ironia e realismo, racconta l’America senza fronzoli

Sorpresa, Hornby fa il paroliere di Ben Folds

Milano - Insomma sembrano fatti l’uno per l’altro. Nick Hornby, lo sapete, è lo scrittore inglese, cinico e un po’ saccente, che meglio di tutti ha sparpagliato il rock nei suoi romanzi (e nei film che ne hanno tratto). Ben Folds è il quarantenne americano molto nerd che, con la sua band e poi da solista, ha dato al pop quel tanto di sarcasmo depresso che gli mancava da un bel pezzo. Uno ha venduto milioni di libri, l’altro milioni di cd. E, a ben guardare, entrambi si sono rivolti allo stesso pubblico: colto e disilluso ed esigente. Così, l’anno scorso, il cinico e il sarcastico si sono incontrati a cena et voilà: è accaduto l’inevitabile. A fine settembre uscirà un cd in cui ciascuno dei due ha dato il meglio (scambiandoselo solo via email): Ben Folds ha composto le musiche e le ha suonate, Nick Hornby ha scritto i testi e, se proprio vi aspettate un successo cult, eccolo qui. Si intitola malinconicamente Lonely avenue, viale solitario, e contiene dodici canzoni che sembrano dodici novelle in forma canzone. E già questo merita l’applauso, dai. Dunque.
Seduto alla sua scrivania, digitando furiosamente come fa di solito sulla tastiera, Nick Hornby non si è fatto mancare nulla, prendendo in giro persino l’indifeso Levi Johnston, che ha come unica colpa quella di aver messo incinta la figlia di Sarah Palin: «Sono un maledetto zoticone (letteralmente redneck - ndr), vivo per bighellonare con gli amici, gioco un po’ a hockey, ogni tanto pesco, se mi va uccido qualche alce». Roba così. Poi ha raccontato, molto meglio, le insicurezze di uno scrittore che in A working day al mattino pensa di essere «un genio» che «spacca il culo a tutti» ma alla sera poi si convince che è «un perdente», che «tutto è finito» e che «tutto quello che ho scritto è una merda». Ha sintetizzato in Picture window, stile Scorsese prima maniera, la storia di una mamma che nella notte di Capodanno si presenta in ospedale con il suo bambino malato: «Sai cos’è la speranza? La speranza è bastarda, è traditrice, è infame e bugiarda». Ha mostrato, lui così vanitoso, la sua cultura musicale in Doc Pomus, rispolverando la storia di questo paroliere che ormai ce lo siamo scordato ma nei Cinquanta e Sessanta ha scritto valanghe di successi: «E giù a Nashville (dove peraltro ora abita Ben Folds – ndr) Elvis canta Suspicion scritta da Pomus e Shuman nel 1962». E infine è stato pungente quanto basta in Password, giochicchiando con la privacy, violata e violentata quasi per caso: «Io non ti conosco, credevo di sapere chi sei ma non lo so. Non ti stavo ascoltando, per lo meno non ascoltavo le cose giuste, e un giorno non mi ricorderò neanche la tua faccia».
In poche parole, non c’è nulla di più attuale di questo cd che passa come un divertissement ma che, drammaticamente, è un acquerello ultrarealista del nostro mondo. D’altronde Nick Hornby non si è mai fatto mancare nulla quanto a realismo, basta leggere il suo Un ragazzo (About a boy) di qualche anno fa. E Ben Folds, forse il più bisognoso di presentazioni qui da noi, è adorato dai suoi tifosi proprio per questo: la spietata sintesi esistenziale delle sue canzoni. Stavolta, visto che ha accettato di avere un partner, dice che «talvolta ho persino scomodato Shostakovich per finire alcune musiche». Di solito si limita a scomodare solo il proprio umorismo nichilista da universitario fuoricorso. In fondo, il gruppo con cui ha raggiunto il grande successo si chiamava Ben Folds Five, che letteralmente sta per Il quintetto di Ben Folds. Peccato fossero solo in tre, lui al piano e alla voce, gli altri due a batteria e basso ma nessuno alla chitarra, roba più unica che rara. E il loro ultimo cd, anno 1999, si intitolava The unauthorized biography of Reinhold Messner, la biografia non autorizzata di Reinhold Messner, ma nelle canzoni, di Messner, neanche l’ombra, giusto un ringraziamento piccolo così nelle note di copertina. Semplice ironia. «Eravamo punk rock per sfigati» dice Ben Folds ora, che dolcemente pubblica sempre su Twitter le foto dei suoi figli ma a 44 anni ha già collezionato quattro mogli e una è durata giusto qualche mese. In realtà i Ben Folds Five erano la versione depressa e malinconica di Elton John, piena di parolacce e di autodistruzione adolescenziale. Roba da college, direte. Vero. E non c’è nulla di più universitario (in senso lato) del protagonista di Alta fedeltà, il romanzo (poi film) che ha trasformato Hornby in un personaggione simbolo degli anni Zero. Insomma, separati alla nascita. Gemelli diversi. E perciò il cd Lonely avenue sarà un fenomeno musicale di cui parleranno tutti. E’ distruttivo ma mica violento. E rappresenta, semplicemente, quel lato musicale ormai in via di estinzione: il voyeurismo folk, la capacità sagace di rendere in musica ciò che di tremendo accade nella vita, senza ideologie, senza retorica.

Se proprio dovesse avere un identikit, il nuovo cantautore americano avrebbe la penna dell’inglese Nick Hornby e la voce dell’americanissimo Ben Folds, il cinico e il sarcastico, troppo perfetti insieme per resistere più di un disco, purtroppo.

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