Sorpresa, gli italiani in Afghanistan combattono

Emanuela Fontana

da Roma

I militari italiani in Afghanistan «andranno al sud». E le autorità di Kabul ringraziano. Smentendo tutte le promesse del governo italiano agli alleati interni su una missione pacifica, limitata alle città di Kabul e Herat, ieri il ministro della Difesa del governo Karzai, Abdul Rahim Vardak, ha alzato il velo sull’effettivo ruolo del contingente italiano. «Siamo contenti - ha dichiarato - che le forze italiane prendano parte all’operazione Isaf nel sud dell’Afghanistan e dopo quattro mesi prendano il comando di quella regione». Parole che hanno gelato il governo italiano e per le quali Rifondazione chiede già un intervento in aula del ministro della Difesa Arturo Parisi.
Il veto sulla zona meridionale del Paese era stata una delle condizioni poste dai partiti più «pacifisti» all’interno del governo Prodi per votare il decreto sul rifinanziamento della missione. Andare al sud significa affiancare le forze Nato nella caccia ai latitanti talebani, rientrare nelle regole d’ingaggio «combat», e dunque essere in guerra a tutti gli effetti. Il governo ha garantito al Parlamento che questo non accadrà, ma a Kabul sembrano avere altre informazioni. Il presidente, Hamid Karzai, ha confermato tutta la fiducia del governo di Kabul verso gli italiani: «Quando tornate a Roma - ha detto alla delegazione di parlamentari delle commissioni Difesa in visita - dite ai parlamentari che dobbiamo ancora combattere. Se non ci lasciate soli ce la faremo».
È toccato al generale Fabrizio Castagnetti, comandante del comando operativo di vertice interforze, chiarire il significato delle parole di Vardak nell’iniziale silenzio dei ministri italiani: «Il comandante di Isaf - ha spiegato - può disporre l’impiego delle nostre forze a sud, ma prima deve chiederlo a noi, che entro 72 ore risponderemo. Invece, se si tratta di “estreme operations”, cioè salvare la vita a soldati della coalizione o afghani, se ci chiederanno di andare al sud dovremo andare».
Più tardi è stato il ministro Parisi a smentire l’omologo afghano, al di là di ogni possibile conseguenza diplomatica: le dichiarazioni di Vardak «sono prive di ogni fondamento sia per quanto riguarda il presente che il futuro». Se si dovessero verificare «situazioni straordinarie che richiedessero l’intervento fuori aerea - ha aggiunto Parisi - dovrebbero essere sottoposte caso per caso dal comando dell’Isaf al governo italiano nella persona del ministro della Difesa».
Ma il ruolo degli italiani in Afghanistan continua a rimanere quasi un segreto di Stato. E la risposta di Parisi non soddisfa pienamente dopo l’uscita di Vardak. Il generale Castagnetti ha per esempio spiegato che le regole d’ingaggio sono state irrobustite: i militari Isaf potranno intervenire neutralizzandolo, prima cioè che spari, su un gruppo con intenzioni ostili verso la coalizione. Regole che sembrano del tutto simili a quell’assetto «Combat» che l’alleanza Atlantica ha introdotto per la zona sud dell’Afghanistan.
La senatrice dei verdi Tana De Zulueta, a Kabul con la delegazione, ammette che la frase del ministro afghano è «preoccupante: devo dire che sono rimasta stupita da quanto ho sentito». Per la deputata di Rifondazione Elettra Deiana, sul ruolo italiano «esistono margini di ambiguità molto gravi».

Una missione border line sulla quale a questo punto, il ministro «dovrà riferire in parlamento».
Sempre da Kabul, i presidenti delle commissioni Difesa, Roberta Pinotti e Sergio De Gregorio, si sono affrettati invece a precisare che quelle del ministro afghano sono solo «aspettative».

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