RomaChe cosa spinge i giovani (o anche i non più tanto giovani) italiani ad uscire finalmente dalla casa di mamma e papà? Forse la voglia davventura o magari il desiderio di fare esperienze di lavoro allestero? Niente di tutto questo. La maggioranza si decide ad abbandonare il nido soprattutto per sposarsi. Più o meno come accadeva mezzo secolo fa anche ora in tempi di crisi il matrimonio «conviene» e diventa lunica via duscita per i giovani in cerca di indipendenza.
È unindagine dellIstat a rivelare il volto tradizionalista di una società piuttosto refrattaria ai cambiamenti se non addirittura immobile. LIstituto di statistica ha svolto unindagine comparativa, su un campione di diecimila persone, confrontando i dati rilevati tra il 2003 ed il 2007. In questo arco di tempo i giovani, tra i 18 ed i 39 anni, che hanno lasciato la famiglia per intraprendere una vita autonoma sono stati soltanto il 20,8 per cento del totale. Su cento che nel 2003 avevano dichiarato che di lì a poco sarebbero volati via dal nido familiare soltanto la metà ha confermato quelle aspettative. Quelli che invece avevano già ben chiaro in testa che sarebbero rimasti a casa nell83,8 per cento dei casi lo hanno fatto.
Interessante poi vedere che la molla principale per salutare mamma e papà resta quella del matrimonio, 43,7 per cento. Percentuale che sale al 57,5 nel sud e scende al 29,4 per cento al nord, dove al primo posto fra i motivi di uscita cè lesigenza di autonomia, 38,4.
«La permanenza prolungata dei giovani in famiglia è uno dei principali problemi del Paese - osservano gli esperti dellIstat - fattori economici ed in particolare laccesso dei giovani al mercato del lavoro e al mercato abitativo da un lato e fattori culturali dallaltro sono fondamentali nella realizzazione delle intenzioni di uscita dalla famiglia di origine».
Se si resta «bamboccioni» fino alla soglia dei quaranta ed oltre insomma è principalmente per limpossibilità di mantenersi come dichiara il 47,8 per cento degli interpellati mentre il 44,8 confessa di stare bene così anche perché mantiene la propria libertà anche allinterno della famiglia dorigine.
Sono le donne a sentire di più lesigenza di lasciare il nido nel quale sono nate. Le persone dai 18 ai 39 anni che, nel 2003, vivevano nella famiglia di origine erano poco più di 8 milioni 300 mila, pari al 47,7 per cento degli individui della stessa classe di età. Tra i maschi la percentuale raggiungeva il 53,5, tra le donne il 41,7. Dunque oltre 12 punti percentuali di differenza. Inoltre tra i 30 e i 34 anni vivevano ancora presso la casa dei genitori quattro uomini su dieci e soltanto due donne su dieci.
Le condizioni economiche ma anche il livello di istruzione influiscono molto poi anche sulla decisione di avere figli. Sempre confrontando i dati del periodo 2003-2007 lIstat rileva come chi possiede unelevata istruzione abbia poi anche una propensione ad avere figli significativamente più alta nel triennio rispetto a chi è meno istruito. Un dato che riguarda in particolare le donne, dove tre laureate su dieci hanno avuto un figlio rispetto a una donna su dieci con licenza dellobbligo. Lindagine prende in considerazione sia lintenzione inizialmente dichiarata sia la sua realizzazione nellarco temporale esaminato, rilevando così che la maggior quota di successo si riscontra tra quanti posseggono unistruzione più elevata. Il 68,2 per cento delle laureate e il 54,4 delle diplomate riescono a realizzare lintenzione di avere un figlio nel triennio mentre soltanto il 37,8 delle donne con licenza media riesce a realizzare quel desiderio di maternità. Non è differente la situazione anche se si prende in considerazione la scelta degli uomini. Come per le donne anche fra i maschi la quota di chi nel 2003 aveva intenzione di avere un figlio e lha realizzata nel triennio è più alta per i laureati, 54,2, seguiti dai diplomati, 49,8 e da chi si è fermato alla licenza media, 45,4.
Anche loccupazione influisce. Chi ha una posizione più prestigiosa e remunerativa decide più facilmente di avere figli.
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