Sorpresa, ora al Lido va di moda «l’italianità»

«A che serve l’Italia» titola un saggio di Lucio Caracciolo, in uscita a settembre da Laterza. Lo studioso di geopolitica gufa da sinistra chiedendosi: «L’Italia serve ancora agli italiani? O l’esperimento è fallito e merita seppellirlo con adeguata cornice funebre?», ma ora trova risposta al suo iettatorio domandarsi. Mai come quest’anno la Mostra del Cinema di Venezia gronda documentari, inchieste sul territorio e squarci di ferialità tricolore raccontati con amore e con rabbia da chi ha occhi per vedere e cuore per sentire le vibrazioni del Belpaese. Questo nostro Paese che un autore come Marco Bellocchio, l’arrabbiato de «I pugni in tasca», ritrae dalle rive del Trebbia in «Sorelle mai», docufilm con sceneggiatura perfetta. E le zie e la famiglia di Bobbio e il rito dell’opera, e il tinello dove si mangia e da cui nessuno riesce a scappare… Poi c’è il boom di Gabriele Salvatores, con il suo «1960» e «L’ultimo Gattopardo» di Giuseppe Tornatore, che rievoca i fasti di un italiano doc come Goffredo Lombardo.

Fosse ormai inutile, l’Italia non verrebbe neanche considerata da chi riprende operai in lotta («Senza paura» di Piergiorgio Gay),o gente comune, che parla del proprio vissuto («La vita al tempo della morte» di Andrea Caccia).

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