Silvia Kramar
da New York
Sold out: il cartello elettronico del «tutto esaurito» appare da due settimane in tutte le sale in cui si proietta Brokeback mountain, il film più discusso della lunga stagione natalizia americana (arriverà nelle sale italiane il 20 gennaio). Questo «western gay», come l'ha definito la moral majority americana che si è inutilmente lanciata in una violenta campagna negativa nei confronti di una pellicola che invece, per molti critici, sarà senz'altro in lizza per l'Oscar, attira più degli altri kolossal di fine anno.
Uscito quasi in sordina in sei piccoli cinema, quasi a voler sperimentare il termometro morale delle grandi metropoli americane dove la parola «omosessuale» non scatena picchetti o sermoni, Brokeback Mountain è diventato il must di intellettuali, giornalisti, studenti e liberal e ha guadagnato ben 109.000 dollari in ciascuna sala, riempiendo fino all'ultima poltrona dell'ultimo spettacolo serale. Un record assoluto che ha polverizzato, cinema per cinema, gli incassi di King Kong e di Narnia, la favola a sfondo cristiano di C.S. Lewis.
Ma i produttori hanno voluto procedere a piccoli passi: dopo una settimana la loro pellicola - che narra a voce alta la love story segreta di due giovani cowboy del Wyoming rovesciando il mito di un Marlboro Man tutto solitudine e testosterone e aprendo la porta ai segreti gay delle immense praterie americane - era arrivata in 69 sale; prima di Natale ne aveva raggiunte 217, una sfida al provincialismo di città meno sofisticate come Portland, Dallas, Denver e Atlanta, la regina del vecchio Sud. Anche lì l'accoppiata Heath Ledger e Jake Gyllenhall (perfetti nei ruoli dei due amanti) ha trascinato la folla ai botteghini: mentre King Kong e Narnia dichiaravano incassi rispettivamente di 9.303 e 8.225 dollari per cinema, Brokeback Mountain veleggiava già sui 13.599.
I cowboy innamorati piacciono: grazie alla regia di Ang Lee, coraggioso regista di storie di azione e violenza, la vicenda scritta quasi in sordina nel 1997 dalla grande scrittrice Anne Proulx ha portato sullo schermo un mondo retrogrado e selvaggio: quello dell'immaginario paesino di Signal in un Wyoming che nel 1963, anno in cui è ambientata la singolare love story, dava la caccia agli omosessuali con la stessa brutalità con cui domava i mustang nei rodei domenicali.
Lo sceneggiatore Larry McMurty, famoso per l'indimenticabile serie televisiva Lonesome, ha trasformato le poche pagine della Proulx in un lungometraggio denso di tristezza, in cui i due giovani amanti diventano vittime di un'America che non riesce ad accettarne l'amore.
Un simile film non poteva che suscitare delle crociate, a favore e contro. E così è stato: da un lato i critici cristiani - quello della rivista Christianity Today e altri, di giornali locali come il New Mexican - sono scesi sul piede di guerra attaccando la morale depravata di Hollywood; dall'altro le solite testate liberal come il New York Times hanno invece applaudito il coraggio di Ang Lee e dei due giovani attori.
Ma adesso arriva la prova più difficile: venerdì prossimo Brokeback mountain, in anticipo di alcune settimane rispetto ai piani timidi e conservatori dei produttori, uscirà in ben 269 sale cinematografiche, distribuito a raffica in tutti gli Stati americani, nella provincia, nelle multisale del West e nelle contee dei ranch e dei cowboy all'antica.
Continuerà ad incassare cifre da record? E cosa succederà tra due mesi, quando quest'opera che ha già raccolto sette nomine ai Golden Globe (compresa quella per la miglior pellicola del 2005) arriverà nel mondo degli Oscar? L'anno scorso un altro film discutibile aveva vinto la statuetta più ambita: Million dollar baby aveva osato affrontare il tema dell'eutanasia e aveva fruttato una statuetta al suo regista, Clint Eastwood.
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