«Sos della nautica: salvateci ora oppure affondiamo»

Genova«Questo silenzio assordante dopo il Salone nautico di Genova mi spaventa». Firmato Anton Francesco Albertoni, presidente dell’Ucina (Confindustria nautica) e amministratore delegato di Veleria San Giorgio (Casarza Ligure). Per «silenzio assordante» s’intende la mancata risposta del governo al grido d’allarme del settore nautico, lanciato a più riprese e, in particolare, proprio a Genova nell’ottobre scorso.
Basterebbe questo messaggio forte per chiudere qui un capitolo doloroso che si trascina da decenni sulla pelle di un comparto dell’eccellenza made in Italy, bistrattato e spesso maltrattato, ma che tanto ha dato, e molto potrà ancora dare, all’economia del Paese. E soprattutto che ha sempre saputo e voluto fare da sé. In questo messaggio, breve ma efficace, c’è tutta l’amarezza, e i mille problemi dimenticati, di oltre 500 aziende associate che allo Stato non hanno mai chiesto il becco di un quattrino, bensì provvedimenti, regole e interventi a costo zero.
Presidente, che fine ha fatto il piano triennale, otto punti ben chiari, per il rilancio del settore?
«Ogni tanto gli do una sbirciatina… Senta, le parlo con il cuore in mano. All’assemblea generale della nautica abbiamo fatto un intervento ragionato, senza richieste fuori luogo. Abbiamo presentato un comparto che cresceva a due cifre di anno in anno, un comparto che occupa 35mila unità (oltre 120mila con l’indotto, ndr) e al cui interno esistono risorse-lavoro altamente qualificate».
Quasi tutti indicatori internazionali dicono che la crisi è superata...
«È vero, i mesi difficili sono alle spalle. Ma è altrettanto vero che abbiamo bisogno di interventi concreti, direi al 90% provvedimenti tecnici. Il piano triennale, con soli provvedimenti amministrativi, ci consentirebbe di ripartire appieno, sviluppando 3 miliardi di investimenti e 440 milioni di gettito Iva. Lo dico con forza: non possiamo più attendere e invochiamo l’attenzione promessa».
Intanto, però, bisogna dire che la leadership mondiale sui grandi yacht è ancora tutta italiana. Non è poco.
«Vero. Di fronte a un mercato in forte calo, abbiamo reagito come meglio non potevamo. Il 2009 è stato un anno pesante che tuttavia nello scorso autunno, con i saloni di Cannes, Montecarlo e Genova ha registrato una timida ripresa. Al contrario, non sono andati bene quelli di Barcellona e Parigi. Ma per tornare ai livelli pre crisi occorreranno anni».
Presidente, qualche numero significativo per capire meglio le vostre difficoltà…
«Questo comparto vantava un’altra gloriosa medaglia: zero ore di cassa integrazione. Ora, alla fine del 2009, il nostro ufficio studi ci dice che i cassintegrati nelle nostre aziende sono circa il 35%. Prima dello scorso anno non avevamo mai chiesto aiuto agli ammortizzatori sociali, che hanno un costo enorme per la comunità. Ma forse è arrivato il tempo di cambiare linea, forse dobbiamo chiedere contributi diversi. E leggendo i giornali mi prende lo sconforto».
Si spieghi.
«Premesso che condivido in pieno il ragionamento del ministro Giulio Tremonti quando dice che nei momenti di crisi si devono sempre scegliere le priorità, e quindi capire dove investire. Però mi è difficile comprendere come non sia possibile investire in quei settori che qualche piccolo miracolo lo hanno sempre fatto con le proprie forze. Come mi è difficile capire perché, pur consapevoli di avere le carte in regola, nessuno ci ascolta».
Ogni riferimento agli incentivi per Fiat, Federlegno, settore elettrodomestici, è puramente casuale?
«Tutta la mia stima per i vertici di questi settori industriali, che però non hanno niente da spartire con il nostro in fatto di potenzialità di crescita. Noi possiamo ricominciare a crescere con percentuali alte, come abbiamo già fatto, cosa che altri settori non possono fare».
Che cosa state rischiando in questo momento?
«Molto. Abbiamo la consapevolezza che se in ottobre il nostro piano triennale fosse stato preso in considerazione, ora saremmo già a buon punto.

Purtroppo non è così. Più passa il tempo, più vengono meno energie e risorse. Con il rischio che gli imprenditori si chiedano se davvero valga la pena di investire o se sia meglio decidere di cautelare le aziende diversamente».

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