Sotto accusa il medico della pillola abortiva

Venti pazienti hanno interrotto la gravidanza a casa e non in ospedale

Maria Grazia Grippo

da Torino

Indagato per violazione della legge 194, che regolamenta l'interruzione di gravidanza: eccolo l'ultimo capitolo della saga montata intorno alla sperimentazione della pillola abortiva Ru486, che da settembre dello scorso anno viene somministrata all'ospedale Sant'Anna di Torino nell'ambito di un lavoro di ricerca con 400 volontarie coinvolte. Protagonista delle vicenda giudiziaria, il ginecologo Silvio Viale, il volto più noto dell'esclusiva attività clinica intrapresa dall'azienda sanitaria torinese, che è stata la prima in Italia a «sdoganare» l'aborto farmaceutico.
Del resto Viale, dirigente nazionale della Rosa nel Pugno e radicale della prima ora, non ha mai rinunciato alla trincea quando si è trattato di difendere metodo e merito della sperimentazione. E non ha esitato a sfidare l'ex ministro Francesco Storace, che, a poche settimane dall'avvio delle somministrazioni, aveva imposto uno stop perché fossero modificati i protocolli, ritenuti non in linea con i dettami di legge. Voleva Storace che nelle procedure fosse chiara l'obbligatorietà di far avvenire l'aborto in ospedale e non fuori, come era accaduto a una signora, cui il ginecologo aveva consentito di rincasare dopo l'assunzione della pillola.
Viale si è sempre detto contrario a questa interpretazione della legge e nonostante la modifica delle carte ha continuato, sotto la propria responsabilità, ad assecondare le richieste delle pazienti che, durante il trattamento, gli hanno chiesto di entrare e uscire dall'ospedale. E adesso a presentargli il conto è il Tribunale di Torino, dove il procuratore capo Marcello Maddalena non smentisce l'iscrizione del medico nel registro degli indagati, ma preferisce non fornire particolari sull'inchiesta.
Dal canto suo il ginecologo si dimostra tranquillo. «Di essere indagato lo apprendo dai giornalisti- dichiara -, quando mi verranno mosse delle contestazioni precise replicherò nelle sedi dovute. Ma sono sereno». Non c'è nulla da dire, a sentire lui, di diverso da quello che è stato dichiarato l'autunno scorso, al momento di fronteggiare la polemica, soprattutto politica, scatenata dall'ordinanza di sospensione del ministro. E nulla da nascondere, nemmeno che i tre quarti delle pazienti trattate sin qui (329 su 400) hanno fatto richiesta di «spezzare» i tre giorni di ricovero indicati nelle procedure oppure che per una ventina di loro l'espulsione del feto è avvenuta in casa.
Proprio come nel caso che provocò la reazione del ministro. «Questa evenienza rientra appieno nei dettami di legge - spiega Viale - e non ha provocato alcun problema. La 194 prevede che l'interruzione di gravidanza avvenga in ospedale, così è sempre accaduto nel corso del nostro lavoro di ricerca, ma l'espulsione non è che una conseguenza degli atti medici, cosa ben diversa dall'aborto». Una tesi che ha diviso i colleghi del Sant'Anna e la dirigenza, sotto la cui responsabilità i medici stanno conducendo la sperimentazione.
E più ancora divide adesso che la procura ha cominciato a convocare i testimoni, tra i quali potrebbero esserci altri indagati, ad esempio chi era responsabile dell'operato di Viale, i suoi superiori insomma. La prima a essere sentita è stata Marinella D'Innocenzo, da qualche settimana a capo del Sant'Anna.

«Sono a Torino da troppo poco tempo per conoscere la vicenda», ha spiegato alla polizia giudiziaria il manager dell'azienda, non si esclude quindi che nei prossimi giorni i magistrati decidano di sentire i suoi predecessori.

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