Sotto inchiesta il giudice che voleva Jannuzzi in cella

Anna Maria Greco

da Roma

Il «caso Jannuzzi» arriva al Csm e finisce sotto procedimento disciplinare il presidente del Tribunale di sorveglianza di Napoli. Angelica Di Giovanni è stata bersaglio di aspre polemiche perchè tre anni fa ha negato le misure alternative al carcere al giornalista-senatore Lino Jannuzzi e ha stabilito che doveva scontare in carcere tre condanne per diffamazione a mezzo stampa.
Il procuratore generale della Cassazione, Francesco Favara, annuncia di aver avviato l'azione disciplinare nei confronti del magistrato, proprio mentre il plenum dell'organo di autogoverno delle toghe discute una delibera sulla vicenda, poi approvata all’unanimità.
Nel documento l’assemblea, da un lato, bacchetta la Di Giovanni per aver polemizzato con il presidente del Senato e aver criticato il Parlamento e dall’altro la difende per non aver riconosciuto l’immunità a Jannuzzi.
A palazzo de’ Marescialli, con finalità opposte, si erano appellati l’anno scorso sia il magistrato, che cercava tutela dai duri attacchi seguiti alla sua decisione, sia Marcello Pera che era stato tra i più decisi nel criticare la Di Giovanni e non aveva tollerato i «commenti critici e le discutibili ironie» espresse in un articolo nei confronti delle Camere.
Secondo il presidente del Senato, Jannuzzi era coperto dall’immunità in quanto membro dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa e la Di Giovanni non aveva agito correttamente.
La richiesta della seconda carica dello Stato ha dato avvio all’istruttoria del Csm sul magistrato napoletano. Per il plenum il presidente del tribunale di sorveglianza, nella polemica con Pera, è andata oltre «i limiti imposti al magistrato nelle modalità di esercizio della libertà di espressione». Come nel caso di un articolo richiamato proprio dal presidente del Senato, nel quale emerge «mancanza di misura e di consapevolezza della propria funzione» e in cui con «tono ironico e perentorio» la Di Giovanni «esprime forti critiche all'esercizio della funzione parlamentare».
I «toni» usati dalla Di Giovanni e la sua partecipazione a iniziative pubbliche, come la presentazione di un libro di Jannuzzi dedicato alla vicenda, presente l’autore, «hanno appannato l'aspetto della tutela della funzione giurisdizionale», afferma il Csm. E questi comportamenti, anche se non hanno inciso sul prestigio del magistrato al punto da giustificare il suo trasferimento d'ufficio, presentano «profili di rilievo disciplinare» che dovranno essere esaminati da palazzo de’ Marescialli.
Sul problema dell’immunità, invece, palazzo de’ Marescialli difende il magistrato. Se con le sue «esternazioni» ha ecceduto, anche gli «attacchi polemici» di cui è stata protagonista non sono giustificati, perchè la sua pronuncia è «immune da errori di fatto o di diritto» e le valutazioni negative al riguardo sono state espresse «in forme che a volte travalicano il diritto di critica, anche serrata, delle decisioni giurisdizionali». Il Csm ricorda che la questione giuridica sulla «supposta» immunità di Jannuzzi è «quanto meno controversa».
Nella delibera di ieri palazzo de’ Marescialli difende anche un altro magistrato che si è occupato del «caso», il pm di Monza Walter Mapelli a cui erano stati trasmessi gli atti. Anche lui sosteneva che Jannuzzi non godeva di immunità parlamentare: tesi che era stata ancora una volta contestata dal presidente del Senato.
Ma il Csm ribatte che le valutazioni espresse dal pm in udienza «non contengono palesi errori di diritto» e «appaiono confortate dalla giurisprudenza costituzionale».

«Esse costituiscono dunque - fa notare palazzo de’ Marescialli - interpretazioni del diritto, sottratte al vaglio tanto del Csm quanto del Parlamento e rientranti nella sfera tutelata dell'autonomia della magistratura».

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