Dal sottosuolo di Dostoevskij esce un «malvagio» d’artista

Gabriele Lavia mette in scena al teatro India il celebre racconto dello scrittore russo

Francesca Scapinelli

Questa volta Gabriele Lavia fa il cattivo. Anzi, interpreta un uomo che «si sente» malvagio, e per di più «malato, che non ha nulla di attraente, ripugnante in sommo grado». È il protagonista del romanzo (ai limiti del racconto lungo) Memorie dal sottosuolo di Fëdor Dostoevskij, proposto dallo stesso attore e regista nell’adattamento scenico, da lui diretto, che debutterà al teatro India il 23 maggio.
Un uomo solo, ripiegato su di sé, pieno di livore e incapace di avvicinare il prossimo: ecco il personaggio portato in scena dal regista con tutto il suo «sottosuolo», quell’insieme cioè di pulsioni, vizi, fantasie oscure che resta nascosto nel profondo, quasi fosse sotto terra.
«Leggo Dostoevskij con lo sguardo di oggi - spiega Lavia, che torna allo scrittore russo dopo Il sogno di un uomo ridicolo -. Per esempio, l’uomo a un certo punto dice di non essere riuscito in nulla, neppure nel diventare scarafaggio. Il pensiero è corso a Kafka, inevitabile. L’abitante del sottosuolo vorrebbe trasformarsi nell’insetto e morire con le zampe che annaspano per aria».
Con Lavia recitano Pietro Biondi, nel ruolo del domestico-grillo parlante Apollon, e la giovane Euridice Axen, interprete della prostituta Lisa. La rappresentazione comincia là dove il romanzo termina, con una scena dal forte simbolismo in cui il «cattivo» incontra una donna, appunto Lisa, lasciata fuori da un postribolo tra neve e fango, nuda, scarmigliata e ubriaca, derisa dai centurioni e dai passanti. Anche il narratore si unisce al branco di chi umilia e disprezza, e da qui forse inizia una vita per lui nuova, dopo aver cioè preso coscienza della propria colpa e inettitudine e aver riversato sulla «donnaccia» rabbia come su di un capro espiatorio. Il protagonista, racconta il regista, «di fronte a una Passione di Cristo al femminile» si rende conto che «essere al mondo è essere con l’altro o, addirittura, essere l’altro» e ciò potrebbe sbloccare l’impasse tra suolo e sottosuolo in cui è intrappolato. Del resto, cos’è il teatro se non «incontrare se stessi»? «Dostoevskij non è un tragico classico, ho cercato di rendere anche il lato comico dell’opera. Si badi, però: ogni riduzione è un tradimento, trasporre e tradire sono la stessa cosa. La fedeltà al testo non esiste, fa parte della vita».
Lo spettacolo segna l’ingresso di Lavia nel progetto del Teatro di Roma guidato da Giorgio Albertazzi.

Al direttore l’attore ha proposto di recitare nel dialogo platonico Fedone di cui vorrebbe curare la regia. «Mi piacerebbe - replica Albertazzi -. Di Platone, poi, è tanto che sogno di portare in scena il Simposio». Al teatro India fino al 18 giugno, ore 21 (domenica ore 18). Biglietto intero 15 euro. Info: 06-684000346.

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