Standard & Poors, tra le più grandi società di rating al mondo insieme a Moodys e Fitch, ha peggiorato le prospettive sul rating dei titoli di Stato della Repubblica italiana che, comunque, viene confermato (A+ sul lungo periodo). La notizia, che arriva a una settimana dai ballottaggi per le elezioni amministrative, non fa certo piacere al governo, ma non è neppure gravissima. In pratica, vuole dire che loutlook (ossia la previsione), è passato da «stabile» a «negativa», e cioè che i titoli di Stato italiani hanno il 33% delle possibilità di veder abbassato il loro rating entro i prossimi due anni.
Certo, leventuale downgrade, ossia il ribasso del rating, avrebbe costi pesanti sul versante della raccolta di denaro che passa tramite le emissioni di titoli pubblici in un contesto europeo gia complicato dalla crisi di altri Paesi, come Irlanda e Portogallo (il cui giuizio è tripla B) e Grecia che con un rating B si avvicina al default (paga già cedole al 16%), ossia dal fallimento che implica un rating D.
Governo e sindacati, però, non ci stanno. Per Cisl e Uil, infatti, si tratta di una notizia vecchia che arriva oltretutto da unagenzia che di errori ne ha già fatti parecchi. Mentre secondo il ministro dellEconomia, Giulio Tremonti, non ci sono fattori scatenanti dal punto di vista economico per una simile decisione. E, infatti, il motivo è più politico che economico. Entrando nel dettaglio, S&P parla di «potenziale ingorgo politico che potrebbe contribuire a un rilassamento nella gestione del debito pubblico e, dunque, le prospettive dellItalia per ridurre il debito potrebbero diminuire». E su questo il ministero del Tesoro replica: «LItalia rispetterà gli impegni presi e non cè rischio di paralisi». Inoltre, aggiunge, «le valutazioni fatte dal governo italiano sono estremamente prudenziali. I dati, tanto della crescita economica, quanto del bilancio pubblico, sono stati costantemente migliori del previsto. Così anche per il 2010. E quelli dellIstat, molto positivi dellaltro giorno, ne sono la conferma». Ma S&P non fa sconti e nel suo comunicato, che ha animato ancora una volta il dibattito politico, parla di «crescita economica potenzialmente più debole del previsto e di un possibile stallo sul fronte delle riforme: fattori che potrebbero contribuire a uno slittamento del piano di riduzione del debito pubblico». Il ministero dellEconomia ha però ribadito che «il governo sta preparando provvedimenti mirati per rispettare lobiettivo del pareggio di bilancio per il 2014 che il Parlamento approverà a luglio».Quanto allopposizione, i principali esponenti di Idv e Pd hanno sottolineato che «lagenzia S&P ha fotografato perfettamente lo stato del nostro Paese, caratterizzato dalla mancata crescita e dalla precarietà del lavoro». Stessa versione dalla Cgil: «Se il governo continua a sottovalutare la situazione, pensando ad altro, il Paese rischia grosso». Al contrario, Raffaele Bonanni, leader della Cisl, osserva che «il taglio delloutlook è una vecchia notizia, e il fatto che venga da unagenzia di rating screditata come S&P non è di per sé buona». Non cè dubbio, però, che «la classe politica deve cambiare rotta sulla crescita - ha aggiunto Bonanni -: al bando i rating, ma avanti con la serietà. Siamo stufi di commentare notizie artefatte sullItalia senza che si muova un dito. Chiediamo la riforma fiscale integrale. Fatti concreti. E non ci interessano le discussioni di chi deve fare campagna elettorale e di chi vuole screditare lItalia». Dello stesso parere anche il numero uno della Uil, Luigi Angeletti: «I nostri conti pubblici sono in ordine e lItalia è tra i Paesi più virtuosi, anche se questo costa caro ai cittadini. Il nostro problema, piuttosto, è fare in modo che leconomia cresca e questo deve prevedere, come primo passo, una seria riforma fiscale da concentrare sulla riduzione delle tasse sul lavoro, perché in Italia è difficile creare posti proprio a causa delle troppe imposte, di qui anche la necessità di un taglio dei costi della politica».
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