Spara al padre-padrone, la camorra non c’entra

da Napoli

Quando gli hanno detto che il padre Vincenzo Sansone, 51 anni, era morto, lui non lo sapeva. Ma Maurizio ha ammesso subito di aver sparato i colpi che hanno ucciso: con quello stesso fucile che aveva strappato, qualche istante prima, dalle mani del genitore, puntato contro due dei suoi fratelli. A confessare, intorno all'una del mattino, è un ragazzo di 21 anni stremato, che attende l'epilogo della giornata che lo ha macchiato di parricidio, a casa sua, in una strada fra Calvizzano e Qualiano (Napoli).
La lunga giornata di violenza è cominciata ieri pomeriggio: intorno alle 17, una donna disperata chiama polizia e carabinieri e chiede di essere difesa da suo marito. I motivi di una discussione violenta, gestita con calci e schiaffoni sferrati ai figli e alla moglie, da un uomo che ha precedenti per detenzione di armi e favoreggiamento, sono talmente futili da non essere neppure riferiti. I familiari chiedono alle volanti, intervenute sul posto, un aiuto per calmare quell'uomo. Loro decidono di non procedere alla querela, ma di trascorrere la notte fuori, in un deposito di famiglia. Lui li raggiunge, armato di fucile. Nel deposito, restano la mamma, la nuora con due bambini, uno di pochi mesi. Fuori si trovano quattro ragazzi, i figli di Vincenzo, di 13, 21, 23 e 25 anni. In preda a una furia implacabile, il padre imbraccia un fucile e lo punta contro due dei suoi quattro figli, in una strada desolata. Li fa mettere spalle al muro, e prende la mira.

Minaccia di uccidere tutta la famiglia, e di riservare l'ultimo colpo a se stesso. Maurizio gli strappa l'arma di mano, gliela punta contro implorandogli di fermarsi. Vincenzo Sansone, invece, avanza, e il figlio spara.

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