Sparatoria allo stadio di Kabul Avvertimento per il presidente

L’incidente durante il ricordo di Massoud

Attimi di paura per il presidente afghano Hamid Karzai costretto dalle sue guardie del corpo a lasciare frettolosamente lo stadio di Kabul, durante la commemorazione di Ahmad Shah Massoud, il nemico giurato dei talebani ucciso da Al Qaida due giorni prima dell’11 settembre 2001. Non si è trattato di un attentato, ma forse di una provocazione e poco dopo Karzai, al sicuro nel palazzo presidenziale, è tornato a proporre negoziati con i talebani.
Nel bel mezzo della cerimonia per il sesto anniversario della morte di Massoud, soprannominato il leone del Panjsher, si sono uditi alcuni spari provenienti dall’esterno dello stadio della capitale afghana gremito di gente. Karzai stava rivolgendosi alla folla facendo riferimento al sostegno della comunità internazionale: «Dovremmo approfittarne per soddisfare i nostri desideri. Cos'è che desideriamo? Che l'Afghanistan cammini da solo e sia in grado di garantirsi cibo e sicurezza». Proprio su questo passaggio si sono sentiti distintamente gli spari ed il presidente ha interrotto il discorso dicendo «cari fratelli e sorelle, esprimo rispetto per tutti voi. Terminiamo l'incontro, arrivederci». Il capo della sua scorta è piombato sul palco e ha portato via il presidente, mentre le gente cominciava a rumoreggiare e a cercare riparo temendo un attacco. La scena è stata ripresa dalle tv e mandata in onda ripetutamente.
Karzai è scampato a diversi attentati ed i nervi delle forze di sicurezza afghane sono a fior di pelle a causa dell’ondata di attentati kamikaze. Ieri una rapporto dell’Onu denunciava che gli attacchi suicidi dall’inizio dell’anno sono già 103, in aumento rispetto al 2006. Metà dei kamikaze sono stranieri e l’80% si è addestrato in Pakistan a farsi saltare in aria.
Subito dopo la “fuga” di Karzai si è cercato di smorzare la tensione sostenendo che al di fuori dello stadio che contiene 15mila persone, già pieno, c’era una marea di gente che voleva entrare e ha cominciato a lanciare sassi. Testimoni oculari hanno invece visto la polizia sparare in aria per disperdere la folla che premeva ai cancelli. Nonostante Massoud fosse rispettato anche dai nemici pasthun era il leader dell’etnia tajika. Non a caso fu ucciso da due terroristi marocchini di Al Qaida che si spacciarono per giornalisti, due giorni prima dell’11 settembre, per eliminare il nemico più insidioso dei talebani all’interno dell’Afghanistan.
Alle commemorazioni partecipano soprattutto i tajiki e non è escluso che siano stati loro a “provocare” la polizia per innescare l’incidente e lanciare un segnale al presidente pasthun costringendolo alla fuga. I tajiki hanno perso, uno ad uno, i loro ministri più importanti, come quello degli Esteri, della Difesa e degli Interni a favore dei pasthun. L’ultima pedina tajika a Kabul è il giovane capo dell’Nds, la potente intelligence afghana sponsorizzata dagli americani, Amrullah Saleh, che lavorò al fianco di Massoud, ma pure lui sarebbe in bilico.
Forse non è un caso che Karzai, una volta rientrato al palazzo presidenziale, sia tornato a fare riferimento ad un possibile negoziato con i talebani, ipotesi vista come fumo negli occhi dai tajiki. «La pace non può essere raggiunta senza negoziati - ha osservato Karzai - qualsiasi afghano che voglia venire nel suo Paese per contribuire alla pace, alla stabilità e allo sviluppo dell'Afghanistan è benvenuto». Il presidente afghano ha poi aggiunto: «Se avessi un indirizzo dei talebani, se ci fosse un posto in cui inviare un emissario a negoziare con qualcuno che rappresenti i talebani, lo farei». Karzai ha anche fatto capire di aver chiesto aiuto al Pakistan per mediare con i talebani, ma il problema è che gli stessi guerriglieri sono divisi in fazioni più o meno estremiste ed almeno in parte influenzate da Al Qaida.

L’ufficio delle Nazioni Unite a Kandahar, ex capitale spirituale dei talebani, ha aperto dei canali di dialogo, ma non si riesce a capire se gli interlocutori facciano veramente riferimento a mullah Omar, il leader guercio dei talebani, che a sua volta non controlla più tutto il movimento degli studenti guerrieri.

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