Sparito il capo della Banca di Cina Buchi nei conti, ora rischia grosso

L’ultimo ad incontrarlo nel suo ufficio di governatore della Banca centrale cinese, lunedì mattina, è stato Tommaso Padoa-Schioppa. Insieme con un alto funzionario del governo giapponese, il ministro per i servizi finanziari Shozaburu Jimi, l’ex ministro del Tesoro italiano è stato un’ora e mezza a colloquio con Zhou Xiaochuan. Da quel momento del governatore cinese non si è saputo più nulla: e c’è chi dice che sia scappato dal Paese per evitare una «punizione» del governo per alcuni suoi investimenti avventati negli Usa.
È un vero e proprio giallo, con tutti gli elementi dell’intrigo internazionale. Le smentite della People’s Bank of China, la banca centrale di Pechino, alle voci sulla fuga non convincono. «L’ho incontrato lunedì mattina nel suo ufficio - ha raccontato Padoa-Schioppa al suo ex portavoce - ed era proprio lui. A meno che non si trattasse d’un sosia..., ma lo conosco bene. Sono sicuro che era lui». Dopo le elezioni del 2008, «TPS» lavora per il settore privato ed è presidente dell’ufficio italiano di Promotory Financial Group, una società di servizi finanziari con base a Washington.
Anche i giapponesi confermano l’avvenuto incontro di lunedì mattina. Ma da quel momento in poi, mistero fitto. Sul sito web della Stratfor, un gruppo statunitense che si occupa di intelligence globale, sono apparsi alcuni report che vorrebbero il governatore cinese in fuga verso l’America, per evitare l’arresto dopo aver perso 430 miliardi di dollari in incauti investimenti nelle agenzie governative sui mutui casa Fannie Mae e Freddie Mac, salvate dal fallimento nei mesi più caldi della crisi finanziaria. Altre voci sono state attribuite al quotidiano di Hong Kong Ming Pao. Fonti dell’amministrazione americana, raccolte dal Washington Post, escludono che il governatore cinese si trovi sotto la protezione degli Usa.
Il vicegovernatore Hu Xiaolian, nello smentire la fuga, ha accusato i media di influenzare negativamente i mercati. La banca ha pubblicato alcune foto che ritraggono Zhou con Padoa-Schioppa e con il funzionario governativo giapponese, mentre il governo di Pechino non ha fatto alcun commento ufficiale. Più semplicemente, sarebbe bastata un’apparizione pubblica del governatore, che fino a ieri sera non era però avvenuta.
Che cosa stia davvero accadendo in queste ore a Pechino è difficile a dirsi. Le domande sono tante: le strette relazioni finanziarie fra Stati Uniti e Cina (una cospicua parte del debito pubblico americano è in mano cinese) potrebbero giustificare un investimento di enorme portata come i 430 miliardi di dollari in Fannie Mae e Freddie Mac, le due società di garanzia dei mutui casa americani colpite dalla crisi? È davvero possibile che gli Usa accolgano il banchiere fuggiasco (sempre che lo sia) mettendo a repentaglio le importantissime relazioni economiche con Pechino? O forse si tratta di una montatura per eliminare Zhou in anticipo sulla scadenza del suo mandato decennale, nel 2012? Esiste davvero una lista di cinquemila funzionari cinesi con depositi in Svizzera, che verrebbe resa pubblica in caso di arresto di Zhou? Domande che configurano l’esistenza di una vero e proprio giallo.
Il governatore della Banca di Cina è molto apprezzato all’estero. Ha condotto con grande abilità le trattative per la flessibilità del cambio fra la moneta nazionale, lo yuan, e il dollaro. Ha osservato con qualche ansia l’esplosione dell’economia cinese, in particolare la pazzesca corsa al credito per mantenere tassi annuali di crescita a ridosso del 10%. Una posizione che ha irritato l’ala dell’espansione economica ad ogni costo. Politicamente, Zhou è considerato vicino alla cosiddetta «cricca di Shanghai», la fazione del partito comunista cinese convolta negli ultimi anni in numerosi scandali finanziari.

Se confermata, la scomparsa di Zhou potrebbe essere il primo passo di una resa dei conti all’interno della nomenclatura cinese. In attesa di notizie certe sulla sorte del governatore, tutte le ipotesi rimangono in piedi.

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