Spataro, il giudice anti immunità che per sé chiede l’immunità

S’incontreranno domani, al palazzo di giustizia di Napoli. Armando Spataro tuonerà contro le immunità e il segreto di Stato, Angelo Di Salvo sarà fra il pubblico in toga. Il procuratore aggiunto di Milano, uno dei più noti magistrati italiani, parlerà contro i privilegi della classe politica, riparata dietro scudi e lodi; il suo collega, giudice alla corte d’appello di Napoli, gli ricorderà forse che anche Spataro ha invocato la protezione dell’immunità in una causa per diffamazione. Sì, perché la tanto vituperata immunità esiste anche per la corporazione della magistratura italiana. Ed è stata varata, anche se nessuno se lo ricorda, con una semplice legge ordinaria nel 1981. Da allora i consiglieri del Csm sono in sostanza “intoccabili”, o meglio, insindacabili, quando esprimono le loro opinioni. Insomma, un minilodo più che un lodo. Ma pur sempre un privilegio per consiglieri dell’organo di autogoverno della magistratura. E a questo strumento si appella ora Spataro per bloccare un processo civile, nato da una citazione di Di Salvo.
La vicenda risale al 2002, all’epoca in cui Spataro era consigliere del Csm per la corrente dei Movimenti riuniti. Nel corso di una seduta, Spataro punge Di Salvo, che a sua volta aveva criticato il linguaggio delle mailing list e i colleghi che si scambiavano battute e apprezzamenti feroci sul governo, sul premier, sulla politica del centrodestra. Di Salvo ascolta la “requisitoria” di Spataro, s’arrabbia e lo cita in giudizio, chiedendo il risarcimento simbolico di 1 euro. È una storia che potrebbe pure scivolare via, come uno scambio di cortesie fra due magistrati che non si sono mai amati. Ma la querelle diventa inevitabilmente una contesa più ampia, sulle regole e sui loro confini. Frontiere che qualcuno può superare e qualcun altro no. Perché oggi in Italia quel che vale per una categoria, leggi la tanto bistrattata politica, rischia di non essere valido per un’altra, ovvero la magistratura.
Spataro infatti scomoda la legge del 31 gennaio 1981. L’immunità prevede che «i componenti del Consiglio superiore non siano punibili per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni e concernenti l’oggetto della discussione». Insomma, siamo davanti a uno scudo che assomiglia all’insindacabilità dei parlamentari. Un privilegio o, se si vuole, una prerogativa, solo che questo lodo è sconosciuto all’opinione pubblica. Certo, a differenza del Lodo Alfano, poi fatto colare a picco dalla Consulta, non vale per tutti gli eventuali reati commessi. Però c’è, oltretutto con legge ordinaria, e Spataro ne chiede l’applicazione. Spataro che proprio domani sarà a Napoli e terrà ai magistrati campani, quindi anche a Di Salvo, una lezione sulle immunità. Spataro, come è noto, è uno dei magistrati che hanno guidato la protesta delle toghe contro il Lodo Schifani, poi contro il Lodo Alfano, e si è battuto, anche se senza successo, per cancellare il segreto di Stato, invocato da alcuni imputati nella vicenda Abu Omar. Nei giorni scorsi, implacabile, il pm è tornato alla carica con parole durissime: «Mai come in questo caso il segreto di Stato è apparso come una comoda scappatoia per tutti gli imputati del sequestro... Per evitare il confronto con la realtà processuale e la conseguente inevitabile condanna».
Insomma, Spataro chiama in causa uno strumento, lo scudo, che, sia pure in un contesto diverso, funziona sempre meno e poco per i politici. E che lui stesso ha appena messo sotto accusa, sia pure in una situazione completamente diversa e certo molto più drammatica, come il sequestro dell’imam egiziano. Non importa. Il tribunale di Roma gli dà ragione, collegando quelle ruvide espressioni alla sua funzione di consigliere del Csm. Intendiamoci: per molti esperti quel privilegio permette ai consiglieri di svolgere serenamente il loro difficile compito a tutela della magistratura. Ma avevano le loro ragioni anche i padri costituenti che avevano costruito l’immunità per deputati e senatori, creando un istituto poi travolto dal vento di Mani pulite nel ’93.


Spataro vince il primo round, ma perde il secondo: la corte d’appello di Roma esclude l’applicabilità dell’immunità perché le sue parole non erano connesse con l’ordine del giorno della seduta. E infatti furono tagliate nel resoconto stenotipico. Ora ecco il terzo tempo, in Cassazione. E la lezione contro l’immunità del giudice che chiede l’immunità.

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