Per meglio aderire alla verità del personaggio, Yusif Eyvazov ha dovuto tagliare l'amata barba. Deve dare corpo (tanto) e voce (tanta) ad Andrea Chénier, poeta realmente esistito, ghigliottinato dai rivoluzionari francesi nel 1794. L'operazione è pesata molto al tenore Eyvazov, protagonista dell'opera che il 7 dicembre apre la stagione del teatro alla Scala. Separarsi dalla barba è stato come denudarsi. Ma così vuole il criterio di verosimiglianza: Chénier non aveva la barba. Si tratta di un ruolo per grandi tenori, si chiede forza, squillo, resistenza, ma anche finezze belcantistiche. Intrigante, poi, indossare i panni di questo personaggio positivo, eroico, dalla grande personalità. Cosa particolarmente gradita a Eyvazov, nato ad Algeri 40 anni fa, ma cresciuto nell'Azerbaijan, a Baku: ora la Dubai del Caspio, e fino a un decennio fa capitale di una repubblica ex sovietica dove metà della popolazione viveva sotto la soglia di povertà.
Eyvazov non è un bimbo prodigio, ha capito in là con gli anni di avere una voce. Non appena lo scoprì, prese un aereo di sola andata per Milano: ha determinazione da vendere. Nel 2010, il debutto al Bolshoi di Mosca, quindi una solida carriera fino all'incontro, nel 2014, con Anna Netrebko, l'anno successivo signora Eyvazov. Galeotta fu Manon all'Opera di Roma, con Riccardo Muti sul podio. Pare che la passione scoppiò durante le ultime repliche.
Quali sono i ricordi più vivi dei 17anni a Milano?
«Se dovessi iniziare, non finirei. Quando hai 20 anni, sono gli anni più belli. Milano è una città meravigliosa, mi ha dato molto, mi ha fatto crescere. È una seconda casa».
Frequentava la Scala?
«Assolutamente sì, da spettatore intendo. Non persi una sola opera dell'anno verdiano, il 2001. Ho assistito a tante produzioni dirette da Muti».
Come vive la sua Prima scaligera?
«Con apprensione. Perché è un doppio debutto: prima volta alla Scala e primo 7 dicembre. Questo è il palcoscenico più importante del mondo. Cantare alla Scala è il desiderio di ogni cantante. Meglio che non ci pensi».
Sua moglie, Anna Netrebko, ha già sperimentato Prime della Scala. Le sta dando qualche consiglio?
«Ci scambiamo sempre i consigli, per ogni produzione. È un periodo molto difficile per un tenore che debutta il 7 in questo ruolo. Bisogna lasciarlo in pace. Con Anna non parliamo di questo. A casa ci rilassiamo, guardiamo film, giochiamo con il bambino, adesso ha nove anni».
Tingo (così si chiama il figlio della Netrebko) è già venuto alla Scala?
«Sì, ha seguito delle prove e verrà anche il 7 dicembre».
Ha già collaudato il ruolo a Praga. Nel frattempo cosa ha cambiato di quella versione?
«Al primo incontro con Chailly sono arrivato con lo spartito, ho cantato e poi lui mi ha detto: lascia da parte quello che hai studiato. Ripartiamo».
Frustrato?
«No, perché assieme abbiamo sviluppato un'altra visione musicale, e l'ho fatta mia. Chailly mi ha poi consigliato di andare a sentirmi la registrazione di Gigli. Del resto, è un ruolo di grande tradizione, manca da 32 anni e il pubblico si aspetta qualcosa che ricordi il passato».
Cosa le piace della personalità di Chénier?
«Tutto. Ammiro la sua nobiltà d'animo, l'essere coraggioso. Fa tutto con passione, che sia scrivere poesie o fare la rivoluzione».
In quale punto dell'opera i battiti del Suo cuore accelerano?
«Nel finale. Lui decide di morire e lei lo segue, a dimostrazione che l'amore vince su tutto».
Cosa le piace di questo allestimento?
«Che è uno spettacolo classico. Io amo il classico. Mi piace anche il moderno però se non va a distruggere la musica. Vedrete, questa produzione è meravigliosa».
Maddalena è sua moglie. Cosa vuol dire cantare con la propria donna? Aggiungo: con una donna che è il soprano numero uno al mondo?
«Anna è compagna nella vita e sul palco da ormai quattro anni. Ha un incredibile carisma e presenza scenica, ogni tenore lo può confermare. All'inizio era dura. Ora va decisamente meglio. Dirò di più: cantare con mia moglie raddoppia il piacere».
Torniamo agli anni di Baku. Vero che suo padre la voleva ingegnere metallurgico, come lui?
«Mi sono laureato in ingegneria. Però poi mi sono innamorato del canto. E sono partito».
La reazione della famiglia?
«Papà era preoccupato anche se di fatto è stato l'unico a credere in me da subito. Mamma disse che potevo partire, tanto poi sarei tornato. Io invece non volevo proprio tornare indietro».
Ora va a Baku?
«Quando posso. Lì ho ancora la mia famiglia, parenti, amici. Però il tempo è poco. Ma se capita l'occasione ci vado».
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